Capítulo 4
- Per avermi riportato a casa. Rispondo con un piccolo sorriso.
- Ti riporterò sempre a casa sano e salvo se non mi soffi il naso.
Mi dice sorridendo per la prima volta, sfoggiando il suo bel sorriso, mentre io non riesco nemmeno a muovere le labbra per fingere di ricambiare.
Scendo e recupero le valigie dal sedile posteriore mentre lui riparte subito dopo, salgo e per fortuna mia madre è già a letto, così non devo chiedermi come ho passato la giornata. Non voglio mentirle.
Apro la porta della sua stanza dove dormo anche per aiutarla se necessario anche durante la notte, ad esempio se deve andare in bagno.
Cercando di non fare rumore, metto i suoi piatti nella lavastoviglie, spazzo il pavimento anche se sono stanca e poi vado in camera mia.
Sempre con lo spirito sotto i piedi, nella stanza cerco i vestiti che Paolo vuole che indossi domani. Non posso farlo all'ultimo minuto.
Nell'armadio trovo una gonna midi nera e una gonna a pieghe blu, ma quella a pieghe è troppo corta, preferisco indossare la prima.
In fondo all'armadio vedo un paio di tacchi neri che non indosso da molto tempo, con cinturino alla caviglia. Sono usurate, ma con un po' di pattinaggio dovrebbero tornare come nuove.
Cerco i collant nel cassetto del mio comodino, non ne ho di nuovi, devo provarli e scegliere il migliore, per fortuna sono tutti neri. Peccato che sono stanca morta.
Sospiro, vado in bagno, sono uno straccio, mi rifletto guardandomi allo specchio e lì mi spoglio rimanendo solo con la mia camicetta bianca, perché non mi ha detto nulla della camicetta e la indosserò di nuovo domani perché è quella che considero più bella.
Ho indossato i collant migliori, un po' consumati con evidenti segni di usura ma per fortuna senza smagliature e poi la gonna, che si chiude ancora perfettamente e infine le scarpe.
Mi guardo allo specchio, quindi dovrei essere a posto, non dovrei dire nulla a me che il mio tutore torturatore.
Mi tolgo i vestiti, passo il bavero sulle scarpe e le lucido con uno straccio, infine ho finito.
Osservo che è mezzanotte passata quando scivolo sotto il lenzuolo accanto a mia madre, che si sveglia immediatamente.
- Tesoro, com'è andata oggi?
- È stato difficile, mamma.
Rispondo crollando senza mangiare nulla per tutto il giorno, lasciando che le lacrime amare scivolino silenziose sul cuscino.
Martedì
Alle sei suona la sveglia, preparo il caffè anche per mia madre, faccio una doccia veloce e poi la aiuto ad andare in bagno, anche se so che può farcela.
Mi vesto come mi ha ordinato, mi trucco e mi profumo e gli do un bacio sulla guancia, gli prometto di tornare prima di ieri perché mi fa i complimenti per la gonna, perché mi rende più bella e questo non mi aiuta ad aumentare la mia autostima, visto che non l'ho messa per me, ma per lui.
Afferro la borsa e il portafoglio mentre cammino per strada, temendo che anche oggi possa trovare qualcosa di sbagliato in me.
Alle sette e cinque arriva e mi si stringe lo stomaco quando si ferma davanti a me.
Apro la porta posteriore, metto le valigie in macchina e poi salgo, sedendomi accanto a lui.
- Buongiorno.
Dico senza fidarmi di lui.
- Buongiorno.
Lui risponde guardandomi, anzi analizzandomi dalla testa ai piedi, costringendomi immediatamente sulla difensiva.
- Se c'è qualcosa che non va, ditemelo subito, non voglio vivere una giornata come quella di ieri.
Sussurro con voce flebile.
- No, oggi stai bene.
Risponde uscendo, sempre serio.
Dopo circa dieci minuti, il mio stomaco brontola e non riesco a trattenermi.
- Hai fatto colazione?
- Ho bevuto un caffè.
Rispondo senza guardarlo, guardando fuori dalla finestra, cercando di evitare il suo sguardo.
Dopo altri dieci minuti, mette la freccia a destra entrando nell'autogrill e io mi scrollo sul sedile.
- Non preoccuparti, ci siamo fermati a fare colazione, scommetto che ieri non hai nemmeno cenato.
Sostiene mentre parcheggia.
Al bar ordina due cappuccini e due cornetti pagando tutto, io divoro il mio anche se non voglio accettare perché non ho dimenticato l'umiliazione che mi ha fatto ieri, ma la fame e l'educazione mi invitano ad accettare e a ringraziare rimanendo in silenzio.
Mi guarda, mi osserva, mi studia, e io sprofondo nella poltrona finché non apre la bocca e mi racconta i dettagli della giornata, mentre io guardo la tazza vuota del cappuccino.
- Ora andiamo al Mega Store, faremo un controllo dell'assortimento come ieri, ci vorranno tre ore per arrivare, saremo lì alle undici. Ci metteremo mezz'ora, poi andremo direttamente al Super Store che dista un'ora di macchina, pranzeremo e prima di tornare ne visiteremo altri due, sperando di essere a casa per le sei. Petizioni?
- No, nessuno.
Rispondo chiusa in me stessa senza guardarlo in faccia, ma a lui non piace questo mio atteggiamento.
- Quando vi parlo vorrei che mi guardaste in faccia.
Aggiunge con calma e tranquillità.
Alzo gli occhi e i miei si incontrano e si scontrano con i suoi, così neri e profondi, vivi, pieni di superiorità, senza poter fare a meno di deglutire, per la paura e il pericolo che sa di esercitare su di me, provando una strana contrazione nel mio basso ventre. .
- Vorrei che da oggi, dopo la spiacevole parentesi di ieri, si formasse una squadra, altrimenti non credo sia giusto continuare, naturalmente vi chiedo se siete ancora interessati a questo lavoro o no.
mi chiede fissandomi, mentre le mie povere viscere bruciano dentro di me come un fuoco vivo. E quella domanda risveglia in me la volontà ferrea di affrontarlo, di dimostrargli che non mi arrenderò alle prime difficoltà.
- Voglio il lavoro con tutto il cuore, ma voglio che tu mi aiuti, che mi accompagni, non come ieri quando mi hai abbandonato, sapendo che non sarei stato in grado di finire il lavoro.
- Ok... allora andiamo, oggi ti seguo, ieri non te lo meritavi e hai capito perché.
Aggiunge, tendendo la mano.
Lo guardo per un attimo, come se avessi caldo, ma seppellendo il risentimento che provo per lui, lo afferro e senza capire perché sento le mie guance arrossire.
Questo ragazzo sarà la mia rovina.
- Poi, come ieri, mi dici il nome del vino, io lo cerco, te lo mostro e ti dico il prezzo.
Mi dice sorridendo, ma io non ho ancora voglia di ricambiare, anche se sembra che gonna, calze e tacchi lo abbiano reso più disponibile per me.
Faccio quello che mi dice e in venti minuti tutte le spunte sul mio tablet diventano verdi, non come ieri che sono quasi impazzita quando ne ho trovate solo otto in un'ora e in quel momento un sospiro e un sorriso mi vengono spontanei.
Tengo il tablet nella borsa di pelle marrone e continuo a guardarlo da dietro, provando ammirazione, perché è carino, curato e sempre ben vestito e capisco che non si è sbagliato ieri quando mi ha definito provinciale, perché mi sono presentata in jeans e anfibi neri.
Poi si ferma prima di uscire dal Mega Store, soffermandosi a guardare una testiera di calze e collant, dove sopra le coperte sporgono gambe imponenti, che fanno sembrare le mie come due pezzi di legno grezzo.
- È meglio che cambi i collant, quelli che indossi sono troppo stretti e pesanti e sono rovinati alle ginocchia?
Sbatto le palpebre per la sorpresa, un po' imbarazzata: cosa ne sa lui di collant?
- ... Prendete questi.
Dice prendendo due collant uguali, effetto nudo, neri da 15 denari, e mettendoli nella mia mano libera, mentre tengo la borsa nell'altra, lasciandomi stupita e un po' infastidita, perché se devo davvero cambiare i miei collant è meglio e giusto che sia io a scegliere cosa indossare.
- Forse questi sono migliori.
Rispondo per non farlo vincere e provocarlo, rimettendo a posto quelli che avevo preso e prendendone un altro paio più opachi.
-Elena!
Esclama risoluto guardandomi, facendomi vibrare tutta mentre pronuncia il mio nome, tra un misto di stai attento a come ti comporti e a come mi rispondi.
- Voglio che compriate questi. Il mio non era un consiglio, consideratelo un ordine.
Aggiunge, prendendo i collant che aveva bruscamente scelto dalla mia mano e mettendomi in mano gli altri due, osservando le sue iridi allargarsi e la sua mascella tendersi, proprio come ieri quando abbiamo discusso seduti davanti al caffè.
- Bene bene...
Rispondo a bassa voce, con un groppo in gola, roteando gli occhi e infilandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio sinistro, pensando che è meglio non disturbarlo, che è meglio non farlo innervosire.
- Va bene, cosa?
- Ok ok li prendo e mi cambio.
Rispondo guardandolo negli occhi con tristezza, passando da un occhio all'altro, consapevole di non avere altra scelta, consapevole che può spezzare il mio sogno con un dito e che può fare di me ciò che vuole, perché mi ha in pugno.