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Capítulo 5

- Pensavo che mi stessi dando un consiglio.

Mi giustifico con voce tremante, stringendo le cosce e con le mani lungo i fianchi, più bassa di lui di ben quindici centimetri anche se indosso i tacchi, spaventata e pronta a cambiare anche lì davanti a lui, davanti a tutti se serve a non farlo incazzare, mentre afferra la mia borsa con il tablet.

Si gira, andiamo, dice, e come un automa mi ritrovo a seguirlo camminando speditamente verso le scatole, mentre un velo trasparente di sottomissione si forma sui miei occhi.

Non voglio sottomettermi, vorrei piantare i piedi, sistemare i calzini e dirgli che mi sta bene quello che indosso, ma questo non farebbe che peggiorare la situazione.

Una volta alla cassa non mi lascia pagare, paga lui e sempre lui, arbitro del mio destino, mi accompagna alla toilette più vicina. Senza mai toccarmi in alcun modo e senza guardarmi.

- Ti aspetto fuori, ne ho due paia nel caso uno si rompa.

Dice che preferirei mangiare merda piuttosto che renderlo felice.

Vado in bagno infastidita, per fortuna trovo un bagno pulito dove posso poi mettere i piedi nudi sul pavimento, togliermi i collant senza pensarci due volte, pensando e ammettendo tristemente che i collant che ha scelto per me sono più belli, più leggeri e meno pesanti da indossare e mettono in risalto le mie gambette molto più di prima, come se sapesse più di me che sono una donna.

Mi guardo allo specchio, odio dovergli dare ragione, le mie gambe sono belle, mi piaccio, mi sento più femminile oggi e se fossi stata al colloquio non sarei in questo bagno ora a soddisfare le richieste di quel tizio.

Forse se mi sforzassi di accontentarlo di più, credo che la strada potrebbe diventare in discesa invece che perennemente in salita.

Quando esco dal bagno non sono più turbata, non ho il diritto di esserlo, perché l'ha fatto per il mio bene, anche se ero molto imbarazzata.

Mi sorride e io ricambio il sorriso, dobbiamo andare d'accordo a prescindere.

Alzo le braccia con i palmi in alto, come per dire: ti piaccio? Ammetto a me stessa che il mio aguzzino è davvero carino e sarebbe perfetto se solo avesse un po' di empatia e più rispetto per me.

- Hai visto che avevo ragione?

Sussurra mentre lo raggiungo e mi giro per mostrargli il risultato della sua richiesta, offrendogli un altro sorriso, sperando che abbia quello che desiderava per oggi.

- Mettetevi nei miei panni, non è facile accettare che un uomo vi dica cosa indossare, soprattutto se si tratta di gonne e calze.

Rispondo, cercando di difendere il mio orgoglio femminile.

- Immagino di sì, ma dovrai abituarti perché ogni giorno deciderò io come dovrai vestirti.

Dice risoluto, prendendomi per mano, mentre un balzo al cuore mi fa impazzire, dato dall'azione inaspettata e dalla sicurezza di avermi preso per mano e dalle sue parole... Deciderò io come dovrai vestirti e non voglio che si prenda anche questa libertà.

Ma la sua mano è calda, protettiva, forse un po' arrogante, perché non mi lascia un secondo fino a quando non arriviamo alla macchina, sentendo sempre una strana ansia dentro di me, incapace di dire di no. Non voglio essere scambiata per una bambola e anche perché non voglio discutere, perché non so dove un'altra discussione potrebbe portarmi.

Saliamo in macchina e ci dirigiamo verso il Super Store, che dista un'ora da dove ci troviamo ora, per pranzare e poi lavorare su nuovi sondaggi, quando alla mia destra, dopo un quarto d'ora, vedo un altro centro commerciale.

- Perché non facciamo anche questo centro?

Gli chiedo, guardandolo mentre guida con prudenza.

- Non abbiamo vini da loro, né accordi commerciali.

Lui risponde guardando la strada.

- Possiamo provare a inserire qualcosa.

- Non è possibile che vogliano troppi soldi.

Dice e io volgo lo sguardo verso di lui, per vedere le sue mani che stringono il volante, belle e forti, che fino a poco tempo fa stringevano le mie, e a quel pensiero stringo le mie, ricordando tristemente che intende costringermi a vestirmi come vuole.

Sono attenzioni che possono dare piacere, piacere se lo chiede il vostro ragazzo, non qualcuno che avete conosciuto ieri.

Ma quando si gira e vede che lo sto fissando non riesco a mantenere la calma e arrossisco, spostando immediatamente lo sguardo fuori dal finestrino facendo finta di niente.

- Mi annoio, togliti la scarpa sinistra e metti il piede qui sulla mia gamba, mentre guido ti massaggio il piede.

Mi volto verso di lui con immediata sorpresa e se prima ero rosa, ora sono di un bordeaux acceso.

- Scusa, cosa?

Io rispondo spostandomi immediatamente, sistemandomi meglio sul sedile.

- Sì... togliti la scarpa sinistra e metti il piede sulla mia gamba e ti farò un massaggio.

Ripete guardando le mie gambe e toccandosi la coscia con la mano, come a dire metti qui il tuo bel piede.

- No, non esiste.

Non farò mai quello che mi hai chiesto di fare.

Risposi, spostandomi il più possibile verso la finestra con le spalle al vetro.

- Non ti ho chiesto Elena, te lo sto ordinando. È diverso.

Esclama ad alta voce, sorridendomi con occhi sornioni.

- Non mi interessa, se osi toccarmi ti denuncio.

Grugnisco, cercando di farlo desistere dal suo intento.

- Se mi denunci, allora vorrà dire che questa volta tornerai a casa, perché non tornerai da me.

Dice guardando la strada, mentre io vorrei ridurlo in poltiglia. Solo che lui sta guidando e io non voglio avere un altro incidente d'auto.

- Non puoi lasciarmi in piedi, nemmeno un'altra volta, non è giusto! Grido.

- Sarà invece a meno che tu non metta il tuo bel piede sulle mie gambe, scusandoti anche per non averlo fatto subito.

Dichiara con decisione, con un accenno di sorriso compiaciuto.

- Si tratta a tutti gli effetti di un'esplicita violenza sessuale. Grida.

- Ma cosa stai dicendo?

- Inizierai dal piede, poi dal polpaccio, dal ginocchio, dalla coscia, fino alle dita dei piedi, direttamente nella mia intimità. Ha urlato.

- Sei in preda al delirio, ma mentre scendiamo e cerchiamo un taxi, non verrai a casa con me. Il tuo periodo di prova è finito.

Conclude alzando la radio di un paio di tacche e io la abbasso, perché oggi non finirà così.

- Chiamo Cosentino e gli dico quali sono le tue intenzioni, che sei un porco.

esclamo, mentre gli occhi mi lacrimano e con le mani tremanti cerco il telefono nel portafoglio.

- Ben fatto... chiamalo e lui ti risponderà, ci sentiamo? Ti chiederà di parlare con me, giusto? E poi sai cosa gli dirò? Gli dirò che sei pazzo, che ti sei inventato tutto perché ti ho filmato mentre invece di lavorare passavi il tempo a guardare le vetrine e infine gli dirò che non hai la macchina e quindi non ho mai guidato.

- Sei uno stronzo, lasciatelo dire! Urlo fuori di me.

Una lacrima cade silenziosa e poi un'altra senza riuscire a fermarle, non voglio che mi veda piangere di nuovo, così mi giro verso la finestra in modo che non mi veda. Perché sono arrivata al capolinea. Tesa e arrabbiata per aver trovato un maniaco bastardo come tutor.

Guardo con tristezza il paesaggio intorno a me fatto di campi misti a distese di conifere, quando sento la sua mano che mi tocca la spalla. Mi giro e vedo un pacchetto di fazzoletti nella sua mano destra. Paolo si è accorto che sto piangendo. Lo afferro con rabbia e guardo di nuovo fuori dal finestrino.

Rimango a guardare fuori per minuti e minuti, finché la mia mente vaga, vaga verso mia madre e anche verso mio padre, che non c'è più.

E in quel momento mi ricordo di una sera di qualche anno fa, quando stavamo cenando guardando il telegiornale. Mi tornano in mente le parole di mio padre.

- Questa giornalista è davvero una bella ragazza, chissà chi le ha dato la possibilità di diventare conduttrice di un telegiornale di prima serata.

Ricordo ancora quello che ho risposto... ma perché dici così?

- Perché per una donna è sempre più difficile ottenere i risultati che di solito ottengono gli uomini se non scendono a compromessi e lei ha sicuramente dovuto comprare i favori di qualcun altro per potersi sedere su quella sedia. Mi dispiace, ma quando si vuole arrivare in alto bisogna accettare i compromessi e sapersi adattare a qualsiasi tipo di situazione.

Sospiro, Paolo non parla più, guida e basta e penso cosa sia più importante per me, dargli il mio corpo, come desidera, e raggiungere il mio obiettivo o ostinarmi a voler rimanere nel mio?

Sospiro di nuovo e, oltre a odiarlo, odio me stessa perché ho preso la mia decisione, ma devo porre dei limiti.

Mi soffio il naso, butto il fazzoletto nella borsa e senza pensarci mi chino in avanti, slacciando il cinturino della scarpa sinistra e facendo uscire il piede, con le guance che arrossiscono subito per il forte imbarazzo che provo.

Alzo la gonna, altrimenti non riesco ad aprire le gambe, scoprendo le cosce a occhi che fortunatamente non mi stanno guardando.

E infine appoggio il piede sulla sua coscia, allargando le gambe il meno possibile ma abbastanza da rendermi conto di essere tremendamente esposta, sempre più imbarazzata.

Ma quello che mi sorprende è Paolo che, invece di toccarmi il piede, lo afferra con forza, quasi facendomi male, tirandolo indietro al mio fianco.

- Mi hai chiesto di darti il mio piede, perché ora ti rifiuti?

Chiedo con voce sconcertata, senza capire nulla, rendendomi conto di avere a che fare con un bambino ribelle, che non capisce quanto mi imbarazzi questa situazione.

- Perché ora non mi interessa farti un massaggio, mi interessa arrivare, sganciarti e dirti addio per sempre.

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