Capitolo 7.Completo fallimento
Daphne, giunta in salotto, afferrò il telefono, compose un numero e aspettò che dall'altra parte qualcuno le rispondesse, ma non dovette attendere molto, sicuramente, la sua migliore amica, in ansia per il figlio, era incollata al telefono. «Si è qui da Kyle, Dorette... Dorette per favore, niente crisi isteriche inutili, lui sta bene, lo vedrai alla festa stai tranquilla, te lo prometto a costo di portarcelo io di persona.»
Nello stesso momento, al piano superiore, nella camera di Kyle, Chadye stava avendo una crisi di nervi. La ragazza se ne stava seduta sul letto, la testa tra le mani e piagnucolava frasi senza senso. «Sono rovinata, mia madre mi ucciderà, le avevo detto che passavo la notte da Adriane e ora Daphne, oltre a dirle che non sono andata a scuola, le dirà che ho dormito con voi, nello stesso letto! E lei penserà che io... che noi tre.... Oh Dio !»
«Chadye, ti scongiuro, non essere drammatica, troveremo un modo.»
«Gijs, conosci Daphne, sai quanto me che non manterrà il segreto, sono più che certa che avrà già avvisato mia madre.» Non ci voleva nemmeno pensare a una eventualità come quella. «E adesso che cosa faccio.»
«Chadye, tesoro, siamo noi, tua madre non può non crederti, cavolo, dividevamo la culla, se non le sono venuti dubbi in tutti questi anni che ci ha visto insieme, perché questa volta dovrebbe essere diverso.» Tentò di calmarla Kyle, la ragazza stava "realmente" per avere una crisi di nervi. «Perché abbiamo diciassette anni?» Fu la semplice risposta di Chadye, ma notando lo sguardo confuso dei suoi due migliori amici, specificò: «Lei crede che tutti i diciassettenni siano malati sessualmente»
Se Kyle non fosse stato infuriato con sua madre per quel brutto risveglio, sarebbe scoppiato a riderle in faccia da quanto, quella storia, risultasse assurda perfino per lui, che di assurdità nella sua vita ne aveva viste tante. Gijsbert era sconcertato come mai lo era stato nella sua breve vita, non riusciva a credere alle sue orecchie.
«Se questo può farti stare meglio, vedrò di parlare con mia madre, se non l'ha ancora detto a Caterina, in cambio del suo silenzio, parteciperò a questa cazzo di festa di beneficenza, credimi, come ricatto funzionerà, sono mesi che me lo chiede e io l'ho sempre mandata al diavolo.»
«Oh Kyle! Sul serio faresti questo per me?» Chadye, speranzosa, saltò giù dal letto e saltò letteralmente tra le braccia del suo migliore amico.
«Come se fosse una novità, quante volte ci siamo fatti questi favori aiutandoci a vicenda.»
«Credimi, se tua madre ti vedesse ora, vestita solo con l'intimo e avvinghiata in questo modo a Kyle, nemmeno tutti i santi in paradiso ti salverebbero.» Si intromise Gijsbert.
Chadye rendendosi conto di quanto l'amico avesse ragione, mortificata e con le guance arrossate, si allontanò di scatto da Kyle.
«Dio Chadye, rilassati, io stavo scherzando.»
«Lo so Gijs, ma quando c'è di mezzo mia madre vado nel panico, comunque Kyle grazie, so quanto ti costa venire a questa festa, ti voglio bene.»
«Sei in debito con me non dimenticarlo» le rispose strizzandole l'occhio con fare complice.
Quando, mezz'ora dopo, i tre amici, entrarono in salotto, sentirono la voce autoritaria della donna impartire ordini alla domestica. «Dai una pulita a questa casa, è un porcile, non sei pagata per startene seduta in poltrona a leggere riviste, voglio vedere quei vetri brillare, ci siamo intese?»
«Signora io seguo gli ordini che mi dà il signorino Kyle.» Cercò di giustificarsi.
«Non chiamarlo per nome, con quale diritto?!»
«Mamma !» La voce contrariata di suo figlio la raggiunse, il ragazzo scese l'ultimo gradino della scala a chiocciola, per poi avvicinarsi a sua madre... «Non dare ordini alla mia cameriera.» La parola "mia" venne marcata dal ragazzo, in modo tale che sua madre avesse bene in mente che in quella casa non aveva voce in capitolo.
«Kyle, questa casa...» Cercò di replicare Daphne, ma suo figlio la interruppe «non è affar tuo, questa casa è mia, la nonna l'ha lasciata a me e sono io che pago con i soldi che ho ereditato insieme alla casa» la zittì per poi voltarsi verso la cameriera «Maria, puoi andare a sistemare la mia camera grazie.»
«Si signorino.» Con un lieve inchino, la cameriera si dileguò.
Daphne era livida di rabbia, suo figlio l'aveva umiliata di fronte a una cameriera, era un affronto inaccettabile.
«Io mi bevo un caffè, voi lo volete?» Kyle si avviò in cucina e accese la macchina del caffè sotto lo sguardo contrariato di sua madre.
«Loro non hanno tempo per fare "merenda" e vista l'ora, sarebbe preferibile che tu bevessi un tè.»
Il ragazzo sbuffò spazientito, Dio come non la sopportava, quanto ancora doveva tollerare la sua presenza. «Noto con piacere che mi conosci, non sai che odio il tè?» Dallo sguardo della donna, Kyle comprese che no, sua madre non lo sapeva.
Daphne per evitare di rispondergli, si voltò e diresse la sua attenzione verso Chadye e Gijsbert. «Voi due andate, Dorette e Caterina vi stanno aspettando con i vostri abiti e tu...» disse rivolta alla ragazza, osservandola con sguardo critico «sei in ritardo dal parrucchiere.»
Gijsbert incrociò lo sguardo di Kyle, una muta domanda stampata sul viso, l'amico sapeva dell'astio che intercorreva tra il ragazzo e sua madre e riteneva che, lasciarlo solo con lei, non fosse una buona idea, ma il suo migliore amico lo sorprese. «Andate tranquilli, non preoccupatevi, io vi raggiungo.»
«Su...su andate, lo vedrete questa sera alla festa.» Intervenne Daphne dura, non era abituata a dover ripetere le sue indicazioni.
Con esitazione Gijsbert prese la mano di Chadye, la ragazza non riusciva a non preoccuparsi per il suo migliore amico, ma non avendo altra scelta seguì mesta il ragazzo moro verso l'uscita. «Ti do un passaggio, andiamo dai» sentì dire Kyle a Gijsbert prima che i due sparissero oltre la porta.
Rimasti soli madre e figlio, un silenzio pesante invase la casa, Kyle senza considerarla, come se la donna non fosse lì con lui, afferrò la tazza del caffè e si avvicinò allo sgabello del bancone, si sedette, dandole le spalle.
«Tu e io dobbiamo parlare.» Quel silenzio venne interrotto da Daphne e il suo tono sembrava più una minaccia che una richiesta e lui odiava le imposizioni, su questo non era molto diverso da Gijsbert, ma sua madre lo dimenticava troppo spesso.
«Dopo questo bellissimo risveglio non posso nemmeno bere il caffè in santa pace?»
«Non ho tempo da perdere nell'attesa che tu finisca di fare i tuoi comodi, dobbiamo andare alla cena di beneficenza a casa Parker e io mi devo ancora preparare.»
«Tu devi andarci, io non ti ho mai detto che avrei presenziato.» Cercò di essere più chiaro il ragazzo «e se le premesse sono queste, posso anche dirti, in tutta tranquillità, che puoi andarci senza di me.»
«Kyle Clark!» Sbottò esasperata Daphne, odiava quel suo atteggiamento scontroso, come se lei, per lui, non fosse nessuno, ma alla donna non balenò nella testa, nemmeno il più piccolo dubbio, che realmente suo figlio la ritenesse un'estranea.
Kyle chiuse gli occhi e sbuffò spazientito, riaprendoli posò malamente la tazza sul piano del bancone, troppo forte, tanto da versare qualche goccia di caffè, scese dallo sgabello, non sopportava più la sua voce, doveva mettere fine a quella discussione assurda il prima possibile e conoscendo sua madre, fino a che non le avesse detto quello che aveva in mente, non se ne sarebbe liberato. Si mise di fronte alla donna, le braccia conserte, un'espressione esasperata stampata sul suo bel viso. «Allora mamma, siamo rimasti soli, come hai voluto tu e io ho finito di fare i miei comodi, adesso hai la mia più totale attenzione, per tanto, cos'hai da dirmi di così impellente da non poter attendere.»
Daphne lo squadrò da capo a piedi, con un'espressione quasi disgustata, constatò Kyle. «Io non ti capisco.»
Kyle alzò gli occhi al cielo ed eccola lì, nuovamente all'attacco con i soliti discorsi, li sentiva ormai da anni "non ci si comporta così, devi essere più maturo, hai un nome da proteggere ". «Che cosa ho fatto questa volta che ti ha tanto disturbato?»
«Io e tuo padre ti abbiamo insegnato il rispetto e l'educazione e vogliamo che tu sia degno del nome che porti, ti stai comportando come se non ti importasse niente di noi, come se non ti importasse niente della tua famiglia, non pensi a tua sorella? Che esempio sei tu per lei.»
Kyle evitò di esprimere a parole il pensiero che gli era balenato in mente, sua madre aveva ragione, a lui non importava niente di loro, perché a loro non importava niente di lui, per loro un figlio equivaleva a un trofeo da far ammirare alla città, ai loro amici, ma lui, tutto questo, non lo voleva, odiava essere un trofeo, odiava essere un burattino nelle mani dei suoi genitori, ma soprattutto, odiava sua madre e suo padre più di ogni altra cosa al mondo e il suo odio era molto ben radicato. Cercò di sviare il discorso, in fin dei conti che cosa mai avrebbe potuto risponderle, i suoi genitori ribattevano sempre sulle stesse cose, giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno, era stanco e comunque sapeva già che sarebbe stato del tutto inutile continuare a parlarne, ormai, per esperienza, sapeva che quelle discussioni non portavano mai a niente. Kyle spostò lo sguardo sul suo divano. «Puoi far scendere quel tuo cane pulcioso dal mio divano? Nemmeno il mio cane ha il permesso di starci.»
Daphne posò lo sguardo sulla sua adorata Sofia, per poi riportarlo sul figlio, ignorando bellamente la sua richiesta. Il ragazzo aveva sempre avuto il dubbio che sua madre amasse più il suo adorato cane di lui.
«Non hai risposto alla mia domanda.» Lo pressò sua madre, pretendendo una risposta, non era abituata a essere ignorata, ma Kyle, negli anni, era diventato molto bravo a sviare alle domande inopportune dei suoi genitori.
«Tu non me ne hai fatte?!» Le fece notare il ragazzo mentendole.
«Perché ci odi così tanto» fu più diretta la donna.
«Potrei anche rigirarti la domanda mamma, perché voi non mi accettate per quello che sono?»
«Perché la tua vita non ha senso, guardati, oggi non sei andato a scuola, hai passato la giornata a dormire e a fare chissà che cosa con i tuoi amici, hai solo sedici anni Kyle.»
«Quasi diciassette» la corresse suo figlio. «Cos'è, non ti ricordi nemmeno più quanti anni ho?»
«Non dire sciocchezze, certo che me lo ricordo.» Ma dalla sua espressione Kyle non ne fu del tutto sicuro. «Poiché vuoi che partecipi alla tua adorata festa, possiamo arrivare al dunque per favore ? Oppure vuoi che facciamo tardi, per me non sarebbe un dramma, ma se lo scotto da pagare è quello di restare qui con te e sentire le tue accuse a senso unico, preferisco andare a quella dannata festa.»
«Più cresci e più diventi uguale a lui... a...»
Kyle sapendo già cosa sua madre stesse per dire... scattò «no! Non osare pronunciare quel nome, non farlo, non ne hai il diritto, è solo colpa tua e di papà se non è più qui con me, lui era l'unico che tenesse veramente a me e non per come voleva che fossi, ma per quello sono in realtà.»
«Kyle!» Lo supplicò sua madre.
«No mamma, non chiamarmi Kyle con quel tono supplichevole, ho tutto il diritto di essere arrabbiato, tu e papà siete fatti così, se una cosa non è come la volete voi, la buttate. Tutto deve essere perfetto per voi, niente deve deludere le vostre aspettative, dopo aver fallito con Fabian e poi con me, puoi sempre riporre le tue speranze in Alexia, lo sai ? Ti somiglia molto, c'è un'unica differenza tra te e lei ed è che lei ha un cuore pulsante che batte nel suo petto e non ha una pietra, lei sa provare dei veri sentimenti e questo mi dà speranza che un giorno possa vedervi realmente per quello che siete, due bastardi che...»
Ma Kyle non riuscì a finire la sua frase, lo schiaffo di Daphne lo colpì in piena guancia. «Ragazzino, non osare mai più parlarmi in questo modo, sono pur sempre tua madre.»
«Per mia sfortuna! E oso eccome! Visto come tu e papà mi trattate e adesso, se non hai altro da dirmi, vorrei che tu te ne andassi da casa mia, sono in ritardo e sono stufo di starti a sentire, tanto le nostre discussioni non portano mai a niente di costruttivo, tu vorresti l'erede perfetto, il maschio di casa Clark che porti avanti il buon nome della famiglia con orgoglio, che magari fra qualche anno prenda in mano le redini della società di papà, ma no mamma, questo non succederà mai, io voglio gestire la mia vita come meglio mi aggrada e quello che volete tu o papà, non sarà mai il mio futuro.»
«E come pensi sarà il tuo futuro, strimpellare su un pianoforte a qualche festa dei tuoi amici? Hai l'esempio di tuo fratello davanti a te, vuoi fare la sua stessa fine? Essere un fallito... un...un...»
Ma Kyle, stufo di sentirla parlare male di Fabian, con il braccio teso a indicare la porta, le intimò mutamente di andarsene, era furente, sua madre non doveva permettersi oltre, perché se Fabian se n'era andato, la colpa era solo dei suoi genitori che non erano stati capaci di aiutare il loro primogenito e visto che sua madre non cedeva sbottò. «Vattene, vattene da casa mia, adesso, fuori, non voglio più starti a sentire, le tue sono solo parole vuote, Fabian aveva bisogno di aiuto e voi, da perfetti stronzi quali siete, che cosa avete fatto, l'avete cacciato di casa solo perché vi vergognavate di lui.»
Daphne stizzita afferrò la borsa. «Tu non sai niente di Fabian e di quello che è successo veramente, comunque non finisce qui, stanne certo, informerò tuo padre in merito a quello che hai detto.»
«Oh! Credimi, per me è finita qui, ah dimenticavo, se vuoi che partecipi alla tua stupida festa di questa sera, vedi di non dire niente a Caterina di quello che hai visto quando sei entrata nella mia camera o giuro che ti faccio pentire davanti a tutti che sia venuto! E addio alla tua bella figura in società!»
Daphne infuriata, come non lo era mai stata in tutta la sua vita, chiamò la sua Sophie e uscì dalla casa sbattendosi la porta dietro le spalle, quel ragazzino era tutto suo padre, anche nel modo di esprimersi... Ho fallito anche con lui, di nuovo.