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Capitolo 7

7

Nel commissariato una presenza inattesa.

Toracca aveva trascorso una notte complicata, come gli succedeva con discreta frequenza negli ultimi tempi. Da qualche mese il suo sonno era accompagnato da un’inspiegabile sensazione di disagio, diretta conseguenza della perenne malinconia che lo braccava durante il giorno.

Pensava alla morte come a una liberazione, ma rifiutava di considerare l’ipotesi di rassegnare le dimissioni dall’esistenza come un rimedio: aveva sempre ritenuto sconvenienti le azioni irreversibili, portatrici, secondo lui, di scrupoli e null’altro.

L’unica terapia contro la tristezza che conosceva, e metteva in pratica, consisteva nell’ironizzare in qualsiasi occasione.

L’opportunità gli venne concessa dall’Ispettore Ferretta, che entrò nella stanza col viso che esprimeva spossatezza.

«Mi ha fatto dannare quell’imbecille!»

«Di chi parliamo?» chiese il Commissario.

«Aurelio Marro. Gli hanno ritirato la patente ed è venuto da noi a farci notare che lui fa il camionista, quindi, di fatto, gli hanno tolto il pane. Quando gli ho detto che non è colpa mia se si è beccato tre anni con la condizionale perché tra un viaggio e l’altro arrotondava con finte rapine e che la pena accessoria consiste nella sospensione della patente ha iniziato a dare i numeri.»

«Lo hai ammazzato?»

L’Ispettore sgranò gli occhi e sbottò

«Mi prendi per il culo?»

«Lorenzo, non sia mai detta una cosa simile. È risaputo che solo i morti danno i numeri. O no?»

«Lasciamo perdere. Però devo ammettere che la battuta è stata carina.»

«È.»

«Che cambia?»

«Tutto. Dal medico ci vai per sapere come stai, non come stavi.»

«Alberto, ti andrebbe sapere anche che cosa ho saputo del professore Pozzuto?»

«Non vedo l’ora.»

«Ieri ho parlato con Angelo Gallo, il fratello della defunta. Mi ha riferito che tra la sorella e il cognato non esistevano conflitti. Anzi. Pare che all’interno della famiglia suscitassero una certa invidia per il loro legame che si manteneva vivo nonostante gli anni di matrimonio sul groppone. Quando gli ho chiesto se avesse dubbi sul parente mi ha risposto che piuttosto che pensar male di Pietro avrebbe preferito piallarsi il cervello. I ragazzi nemmeno a parlarne, hanno confermato la tesi dello zio.»

«Hai parlato con loro in separata sede?»

«Sì. Nessun tentennamento. Hanno risposto con sincerità. Inoltre mi hanno detto che il padre li ha consultati prima di autorizzare l’autopsia. Gli ha spiegato che sarebbe stato un altro torto per la loro madre, ma indispensabile per capire»

«La famiglia di lui?»

«Il professore è figlio unico, quindi nel suo stagno c’è poco da recuperare, Alberto.»

«I vicini?»

«Nessuno ha mai notato niente di anomalo.»

«Benissimo. Ottimo lavoro.»

Toracca stava per congedare il collega, bloccò il saluto quando vide entrare l’Ispettrice Santucci seguita da due persone.

Con un cenno del capo invitò Ferretta a trattenersi. Insieme ascoltarono la collega.

«Signori, vi presento la signora Cioffi, dipendente della Mursie, e il marito: il dottor Ferruccio De Nuptis, medico di base. Beatrice, vuoi ripetere al Commissario quello che mi hai riferito prima?»

La donna si accomodò sulla sedia riservata agli ospiti e attese che lo sposo prendesse posto accanto a lei. Poi parlò.

«Esterina è stata avvelenata, ma l’obiettivo ero io.»

«Su quali basi esprime questa convinzione?» domandò Toracca.

«In ufficio ho un erogatore di acqua, quello col filtro depuratore. La collega mi venne a chiedere un fascicolo e approfittò per bere un bicchiere, aveva sete perché soffriva di allergia primaverile.»

Dopo un attimo di tentennamento dovuto alla difficoltà nel rivivere quei momenti la donna continuò.

«Più tardi ho bevuto anch’io, ma il sapore non mi sembrò il solito. L’acqua era acre, andai in bagno e sputai nel lavandino. Al momento non ci diedi peso. In un secondo momento ho capito.»

Intervenne l’Ispettore Ferretta.

«Cosa ha fatto dopo aver notato il sapore aspro?»

«Ho svuotato il contenitore e cambiato il filtro. Cos’altro potevo fare?»

Il marito vedendola agitata la confortò coprendole la mano.

Toracca ne approfittò per rivolgersi a lui, in qualità di medico.

«Dottore De Nuptis, secondo lei è plausibile? Intendo dire che la colchicina abbia causato gli effetti nel tardo pomeriggio?»

«Sì, Commissario. I tempi coincidono I sintomi della povera Esterina, anche. Però quel veleno per provocare l’evento infausto deve essere somministrato in dose abbondante, e in tal caso l’acqua sarebbe dovuta risultare imbevibile, non semplicemente acre.»

Beatrice si arrabbiò.

«Ferruccio, io lo ricordo il sapore. Era di un amaro che non puoi descrivere. E ne ho assaggiato solo un sorso.»

Il medico non replicò alla moglie. Approfittando del momento di pausa Talia Santucci formulò la domanda più urgente, lo fece solo a beneficio dei colleghi: lei già conosceva la risposta.

«Beatrice, hai dei sospetti su chi possa aver messo il veleno nel depuratore?»

«Certo. È stato Daniele Albarelli, il ragazzo che lavora nella ditta di spedizioni e che consegna i pacchi nella poligrafica.»

Ferretta e Toracca furono colpiti dalla sicurezza mostrata dalla donna nel formulare quel nome. L’ispettore chiese lumi.

«Come fa a essere sicura, signora?»

Beatrice supplicò il coniuge con lo sguardo. Lui capì e rispose in luogo della sposa.

«Il ragazzo di cui ha parlato mia moglie è, o meglio era, fidanzato con una cliente del mio studio. La signorina Marilù Papa. I due si sono lasciati qualche mese fa. Daniele ha sempre incolpato me.»

Il Commissario chiese spiegazioni. L’uomo riprese a parlare.

«Ha lasciato nella nostra cassetta della posta anche qualche lettera. Non le ha firmate, ma sono sue. Mi addossa responsabilità che io non mi sento proprio di avere.»

Il dottore non attese che gli venisse chiesto e tirò fuori dalla borsa della moglie dei fogli piegati, li aprì per poi consegnarli a Toracca.

Toracca lesse con attenzione, quindi consegnò i documenti ai colleghi presenti.

Le missive lanciavano una serie di accuse al medico, il quale, secondo il latore delle stesse, sarebbe andato oltre i suoi doveri consigliando alla sua paziente come unico rimedio liberarsi dal suo fidanzato.

Le prime quattro erano più o meno somiglianti. La sostanza era sempre il livore nei confronti del sanitario impiccione.

Nell’ultima l’autore aveva cambiato registro, scrivendo solo una frase: ti priverò di ciò che hai tolto a me. Un’asserzione secca, lapidaria. Eppure sinistra.

Toracca ritenne inutile chiedere a De Nuptis quanta verità esistesse negli scritti.

D’altro canto il dottore aveva messo le mani avanti citando colpe che non sentiva di avere, decise, perciò, di rinviare la questione a data da destinarsi.

«Bene. Per il momento non credo sia opportuno formalizzare una denuncia vera e propria. Lo faremo in seguito. Vi chiedo solo la cortesia di lasciare a noi le lettere. Ho intenzione di chiedere spiegazioni a questo Albarelli. Siete d’accordo?»

Beatrice annuì. Il marito commentò.

«Nessuna difficoltà. Gli investigatori siete voi.»

I coniugi De Nuptis lasciarono il commissariato. I tre investigatori si consultarono a vicenda e decisero che prima di fare supposizioni sarebbe stato opportuno ascoltare cosa avessero da dire i due ragazzi.

Decisero di iniziare dal fattorino: morivano dalla voglia di sentire cosa avesse da dire in merito al suo passatempo da letterato.

Come da tradizione consolidata Ferretta si incaricò dell’incombenza di rintracciare, e convocare in ufficio, la coppia.

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