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Capitolo 4

Ci misi un po' a rientrare al camping. Attorcigliai una busta di plastica attorno al braccio e feci una doccia, nel box "a vista", assicurandomi che la mia privacy fosse tutelata. Mangiai da sola, cibo da asporto che avevo comperato tornando e decisi di trascorrere qualche ora a sfogliare i social.

Non so cosa diavolo mi venne in mente, forse percepivo che dovevo farlo. Aprì Instagram e cercai il profilo di Ernandez. Non potrò mai descrivere quanto i miei occhi si spalancarono alla vista del suo ultimo post. C'era la foto del suo monopattino poggiato all'ingresso dell'infermeria del circuito. La didascalia diceva: "accidente a bordo de esta cosa, me golpeé un limón! no te preocupes, no hay consecuencias" ovvero "incidente a bordo di questo coso. Ho investito un limone! Non vi preoccupate, nessuna conseguenza!"

Ovviamente tutto il commento era sommerso da faccine in lacrime dalle risate. Sentì la rabbia salire dalle dita dei piedi alla punta delle orecchie! Sapevo comunque di essere stata davvero molto antipatica, ma era più forte di me! Non lo sopportavo.

Feci quello che probabilmente fu un errore fatale. Ernandez aveva tirato l'esca ed io abboccai come uno stupido pesce: COMMENTAI.

"Sciacqua abbondantemente gli occhi, vedrai che eventuali schizzi di succo acido non ti daranno più fastidio!"

Ebbene sì, proprio questo cercava: un commento. Trascorsero solo pochi minuti prima che rispondesse in privato.

"Ci sei cascata, hihihihihihi"

Lascio all'immaginazione personale quale fu la mia reazione. Ero stata un'idiota.

Non risposi, non avrebbe proseguito. E invece... sì, continuò proseguendo a corredare ogni frase con una emoji.

"Dai ridi un po'! È possibile che mi odi tanto?????"

"Non ti odio!" abboccato anche al secondo amo. "Mi sei antipatico e non tifo per te!"

"Che non tifi per me ok, ma che ti sono antipatico... non mi hai dato neanche la possibilità di presentarmi!"

"So chi sei"

"No, sai chi sono come pilota!"

"E mi basta!"

"Limon"

"ahaha" risposi corredando con la mia prima emoji, quella con l'espressione indifferente.

Non ricordo nemmeno quante volte scattai in piedi da quel letto, per poi risedermi, quante spensi lo schermo del cellulare, ma alla fine non resistetti e continuai a rispondere.

"Allora, abbiamo una pausa di due settimane, dopo il gp del Texas, me la concedi una cena?"

"Tu vai in pausa, io torno a lavorare due giorni dopo!"

"Allora abbiamo due giorni!"

"La smetti con queste emoji?! Le detesto!"

"Le hai usate anche tu!"

"solo una, la mia preferita!"

"E ti somiglia anche!"

"No!"

"A domani..."

"NOOOOOO!!!!"

"NOTTE..."

LO ODIAVO. Ora lo odiavo davvero. Non era solo tifoseria, era puro, sacrosanto, smisurato odio. Perché? C'erano più di trenta piloti maggiorenni che giravano per quei circuiti, doveva pescare me proprio l'unico che avrei preferito vedere perdere???? Un altro scherzo della dea bendata che a me aveva sempre riservato incontri con degli stronzi.

Riposai poco quella notte. Ero arrabbiata con me stessa, mi venivano in mente milioni di risposte che avrei potuto dagli durante la nostra conversazione! Ma per quale ragione le frasi giuste ti saltano in testa sempre a dialogo concluso! Ero stata una scema a commentare quel contenuto. Che diavolo mi era saltato in mente????

La mattina seguente arrivammo in pista molto presto. Le moto3 corrono per prime, quindi dovevamo essere pronti. Al via della gara Alex sembrava indemoniato. Fece una partenza a bomba, risalendo in prima posizione, per poi essere ingoiato in quinta alla prima curva. Il ragazzo non demorse, lottò, sgomitò, resistette. Alla fine concluse in terza posizione, primo podio in moto3. Eravamo felici come se avessimo vinto il gran premio. Corremmo tutti al muretto aspettando che ci sfrecciasse davanti, felice come non l'avevo mai visto fino a quel momento. Il padre era più su di giri di Alex, stringeva mani, abbracciava e ringraziava chiunque gli si avvicinasse. Fu un momento indimenticabile.

Quella sera Alex decise di festeggiare con tutti noi. Era felicissimo e consumammo una cena allegra e spensierata... almeno la maggior parte di noi...

Ernandez aveva vinto, un'altra volta, e la cosa mi irritava un tantino, o almeno un tantino fino a quando non mi irritò parecchio. Fresco di vittoria, mi contattò di nuovo.

"Neanche un bravo, Velma?

"Basta con queste emoji, ti supplico!"

"E... "

"Cosa?"

"B"

"R"

"non ti dirò bravo. Sei partito primo e hai condotto la gara in solitaria, mente dietro di te gli altri si scannavano a vicenda, non ci vedo niente di tanto eccezionale!"

"Martellare costantemente l'1.40 basso non è roba per cui complimentarsi?"

"lavoro discreto"

"Sei perfida"

"Si"

"Magari puoi dirmi a cena quello che pensi?"

"Sono già a cena, con la mia squadra!"

"Dopo cena!"

"Scordatelo!"

"Domani?"

"Ernandez, devo bloccarti?"

"No, dai!"

"Allora smettila."

La serata si sviluppò in questo modo, con Mattia che cercava di capire con chi chattassi, Alex a cui ciò non fregava assolutamente e pensava solo a festeggiare ed io che mi alteravo al suono di ogni notifica.

Rientrammo che erano quasi le undici. Mi misi a letto stanca, ma non tanto da addormentarmi immediatamente.

Erano trascorsi circa una ventina di minuti quando qualcuno bussò al mio bungalow. Pensai subito che fosse Mattia. Con lui avevo un ottimo rapporto. Era entrato in azienda insieme a me, come stagista, quattro anni prima. Entrambi neo-laureati alla prima esperienza, stavamo coronando un sogno. Far parte del reparto corse ed infine del team interno, era stato il raggiungimento di una meta agognata per entrambi.

Aprì la porta, senza neanche chiedere chi fosse o guardare attraverso le tendine della finestra, ma non era Mattia.

-Chi diavolo ti ha detto dove alloggio? - esclamai su tutte le furie, alla vista di Ernandez lì, sotto il mio portico.

-Non è molto complicato, se si lavora nello stesso campo. - sorrise, divertito.

-Sai che potrei denunciarti? -

-Sono venuto a controllare el tuo gomito, non sono aqui per te. -

-Il mio gomito è ok, te ne puoi andare! - esclamai, tentando di chiudere la porta.

Ernandez mise un piede per tenerla aperta.

-Aspetta un attimo, dai ti ha portato una cosa. E ha dovuto delegare una persona, che ha fatto il giro della città per trovarla! -

-Wow... - dissi, poco entusiasta, osservando il cartoccio bianco che teneva penzolante vicino alla mia faccia. -Hai dovuto fare una fatica assurda per delegare qualcun altro. - aggiunsi, facendogli cenno di entrare.

Una volta nel bungalow, Ernandez si guardò intorno, quasi spaesato.

-Che c'è, non sei abituato a certi posti? È un camping per famiglie, non il 5 stelle dall'altro lato dell'autodromo, dove alloggi tu. -

-Espartano, ma grazioso. - rispose. Poi mi porse il sacchetto.

Dentro c'erano due dolcetti, delle dimensioni di una focaccina. Sembrava una girella di pasta lievitata, cosparsa di zucchero a velo e ripiena di una crema chiara.

-Sono Ensaimadas con dulce de leche. Pensavo che doveva fare qualcosa per farmi perdonare di averte investita. -

Stranamente mi sfuggì un sorriso. Era carino da parte sua.

-Siediti. - gli dissi, facendo cenno verso il divano.

Sedetti anche io e consumammo quel dolce. Al primo morso ne ero già innamorata. Avevo sempre adorato i dolci lievitati, ma quello aveva una morbidezza, una delicatezza nei sapori, che mi rapì.

-È delizioso! - esclamai, con la bocca cosparsa di zucchero a velo.

Ernandez sorrise, pulendomi la punta del naso imbiancata di zucchero con il pollice. Per un momento non seppi come reagire. Restai impalata ad osservare lo sguardo da marpione, quegli occhi scuri come la pece. Era bello, il tipico uomo latino dalla carnagione dorata, i tratti che sembravano disegnati con il carboncino, i capelli nerissimi. Poi mi tirai indietro. Controllai che il mio pantaloncino coprisse là dove doveva, pensando che non solo avevo trascorso gli ultimi sette anni della mia vita a detestarlo come atleta, ma che era anche sei anni più giovane di me!

-Comunque grazie per il pensiero, non ce ne era bisogno! - dissi infine, scansandomi.

Mi pulì le mani dallo zucchero, battendole l'una contro l'altra e mi misi in piedi.

-Adesso te ne puoi andare. Sto bene, ti ho perdonato ed è tardi. Io lavoro domani, devo presentarmi per caricare la moto di Alex. -

-Ok... gracias por el perdon, ma ci vedremo ancora, Velma? - chiese, sorridendo divertito.

-Sicuramente ci incroceremo alla prossima gara. Buona fortuna intanto, Shaggy. - risposi asciutta.

-Vale molto esto buona fortuna, specie se io sa che non è mia tifosa. - disse, mordendosi il labbro inferiore, nel tentativo di sopprimere una risata.

-Già, non credo lo ripeterò mai più in questa vita! -

Juan si alzò dal divano. Fino a quel momento non mi ero mai accorta che fosse più alto di me. Di solito i piloti motociclistici sono piccolini di statura, lui non era certo un gigante, ma superava di qualche centimetro il mio metro e sessantatré.

-Siamo quasi bassi uguale. - pronunciai stupidamente. Di tutte le frasi che potevano saltarmi in mente, scelsi proprio la più sciocca.

Ernandez prese a ridere di gusto.

-Por eso ho deciso di evitare le modele! Gambe troppo lunghe e tacchi troppo alti. Sembro un umpa lumpa.-

Questa volta fui io a ridere, come forse non mi sarei mai aspettata di fare insieme a lui.

-Io i tacchi non li uso, ma è meglio una della tua età, credimi... - dissi, ritornando seria.

-Porchè? Tu non ha la mia età? - chiese stupito, o almeno fece finta di esserlo, per farmi un complimento.

-No, purtroppo. -

-Purtroppo para mi o para ti? -

Decisi che era meglio non rispondere.

-Va al tuo albergo, torero. Sono sicura che hai un autista qua fuori che sta mettendo radici. -

Ernandez lasciò il mio bungalow ed io feci qualcosa che, probabilmente, mai avrei fatto in precedenza. Iniziai a sfogliare Google alla ricerca di ogni minima informazione che lo riguardasse.

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