Capitolo 2: Uno sguardo diverso.
«Non posso dirtelo, anche se è una merda, resta la persona a cui voglio più bene al mondo. Se ti dicessi quello che ti vorrei dire, domani me ne pentirei moltissimo, ed io non voglio pentirmi mai più di niente, non posso permettermelo»
Il discorso che mi fa Andy, in qualche modo, lo capisco.
Non ho idea del perché sia arrivato al nostro tavolo puntandomi e dicendo di adorarmi, non so perché il suo amico sia così teso, ma so che in quelle ultime parole “non voglio più pentirmi di niente” si nasconde il vissuto di un ragazzo che sembra dolcissimo e spaventato a morte della propria ombra. Un ragazzo che sembra sull’orlo di dissolversi nell’aria. E non mi riferisco solo alla sua eccessiva magrezza. Gli sorrido.
«Ho capito»
dico e mi rimetto a bere. Nemmeno mi accorgo che Ian è andato via, sono troppo concentrata a guardare Andrew.
C’è qualcosa nella piega del suo sorriso, e non è solo che è ubriaco fradicio, c’è dell’altro.
Continuo ad osservare gli spigoli del viso, delle scapole, del mento. Le sue dita ossute e lunghe che ondeggiano scoordinate in aria, mentre prova ad afferrare qualcosa visibile solo ai suoi occhi inebriati da troppo alcool. È magro, davvero magro. Troppo magro.
«Andrew»
dico.
«Andy»
mi corregge.
Gli sorrido.
«Andy, stai bene?»
Le sue mani si fermano e lasciano andare quella fatina che era riuscito ad acchiappare, sciogliendo il sorriso di vittoria che gli aveva riempito la faccia, china la testa di lato e mi guarda.
«No»
risponde serio.
Sembra essersi ridestato dal suo viaggio alcoolico, invecchiando di cento anni, e la sua voce, fino a poco fa squillante e delirante, è diventata roca, tagliente.
Alice subito si preoccupa, ma io la fermo e mi avvicino di più a lui.
«Vuoi che ti chiami un taxi?»
Lui annuisce e basta.
«Non è per l’alcool, sai?»
aggiunge.
«Lo so»
rispondo.
E lo so per davvero. Non so perché lui mi adori, ma io so chi ho di fronte. Credo lo sappia anche Ali. Lo abbiamo visto in passato, con suo fratello.
Diamine. Un altro pezzetto di una vita che è finita secoli fa.
«Certo che lo sai» allunga una mano e mi tocca il viso «Sei il mio idolo, no?»
sorrido.
«Ali, vado a chiamargli un taxi, aspetta qui con lui»
Mi alzo e mi dirigo verso la zona telefoni, contenta di essere uscita da quel nuovo loop di pensieri.
Entro in una cabina e trovo sollievo dalla musica.
Tiro fuori il cellulare e la compagnia dei taxi mi fa sapere che una macchina sarà disponibile entro cinque minuti. Torno al tavolo e lo dico ad Andy ed Ali.
«Devo dirlo ad Ian»
biascica lui, provando ad alzarsi.
Barcolla rischiando di cadere. Ali lo sostiene prontamente tirandolo a sé.
Per fortuna ha un fisico da pallavolista e riesce a reggerlo, ma la cosa che mi sorprende è il modo in cui lo stringe.
Lui è completamente abbarbicato addosso a lei. Ma Alice non si scosta, non ha crisi isteriche, anzi, il suo viso si è ammorbidito.
“lui non è pericoloso” penso.
«Vado a dirglielo io»
mi propongo.
«Tieni» dice Ali, allungandomi le chiavi della macchina «Non credo ce la possa fare da solo. Lo accompagno fino a casa e poi torno col taxi, tu torna con la mia auto»
Annuisco e li osservo uscire dal locale. La scena mi si pianta nel cervello. Ci vorrà molto più di una doccia fredda per rimuoverla. Dannazione, lo sapevo che era meglio restare a casa.
Sospiro e mi volto a dare un’occhiata alla pista, cerco Ian.
Fortunatamente è facile individuarlo con i suoi capelli neri ed i suoi occhi di ghiaccio.
Tanto bello da sembrare finto. Sarà sicuramente al centro di parecchie attenzioni. Infatti lo trovo beatamente poggiato contro un colonna al margine della pista, sta guardando le due tizie che si dimenano come anguille di fronte a lui.
Stranamente mi sembra annoiato anziché eccitato, magari lui ed Andrew non sono solo buoni amici.
Scuoto la testa e scaccio l’idea. Non mi è sembrato ci fosse del tenero tra i due. Mi avvicino, gli tocco una spalla e lui si gira lentamente a guardarmi.
I suoi occhi diventano trasparenti quando vengono colpiti dai lampi di luce psichedelica del locale.
Sembra un po’ sorpreso nel vedermi. Mi metto in punta di piedi, mi avvicino al suo orecchio. Ha un odore buono, muschiato.
«Hey, il tuo amico è andato a casa. Alice lo sta accompagnando»
Lui corruga la fronte un attimo, poi annuisce.
«Ok, grazie»
replica.
Gli sorrido e mi volto per andarmene, ma vengo trattenuta da una mano pesante, che mi afferra per una spalla e mi spinge contro il muro.
Non ho il tempo di capire che diavolo stia succedendo. In un tempo che non riesco a quantificare mi ritrovo schiacciata contro la parete mentre una bestia urlante mi sbraita a due centimetri dalla faccia.
«Troietta! C’ero prima io!»
I capelli biondo paglia tutti arruffati, la fronte imperlata di sudore, il trucco sbavato e l’alito che racconta una serata a base alcolica, mi sovrastano come un cielo tempestoso.
Riesco solo a fissarla confusa, senza diritto di replica. Realizzo in maniera inconscia che è una di quelle due che fino a poco prima si dimenavano di fronte ad Ian.
Sollevo le mani per allontanarla.
«Tranquilla, è tutto tuo»
provo a dire, ma lei continua a vomitare insulti mentre mi spinge contro il muro. Sento un dolore elettrico attraversarmi una spalla. Le sue unghie lunghe si sono conficcate nella carne del mio braccio, sento uno dei grossi anelli che le riempiono la mano, lasciare il suo segno da qualche parte sul mio corpo.
«Cosa gli hai detto! Eh? Parlavi di me?»
Cosa diavolo sta succedendo? E perché non ho il fisico di Alice? Potrei distruggerla con una sola spinta. Alzo la voce e le ripeto:
«Sul serio! Gli ho solo detto che il suo amico è andato via, è tutto tuo, non ho nessun interesse»
Ma probabilmente i due spintoni mi hanno settato le capacità linguiste, forse parlo un’altra lingua, lei non capisce, anzi, torna a spingermi.
Sento la rabbia montarmi dentro, probabilmente ne uscirò distrutta, ma se non si allontana subito, le strappo la faccia con le unghie.
«Dolcezza, non credi che io debba avere voce in capitolo?»
Interviene Ian, mettendo un braccio tra me e la pazza.
Improvvisamente, quella piovra invasata, diventa tutta morbida e ammiccante.
«Sono un tipo possessivo tesorino bello»
miagola.
Io resto impietrita da quella trasformazione e la rabbia di poco prima si trasforma in disgusto.
Lui le prende il viso tra le mani e le dice qualcosa all’orecchio. Lei spalanca la bocca e subito dopo scappa via. Ian ride ed io ancora non ho capito che cavolo sia successo.
*****
«Sei una vacca sfatta. Ed ora vai a rifarti il trucco che si inizia a vedere quanto sei brutta!»
le dico all’orecchio.
Non me la sarei mai fatta lo stesso, puntavo all’amica coi capelli scuri, ma quella scenata mi ha davvero dato fastidio.
Non me ne frega niente della commessa, ma al contrario della maggior parte dei maschi, le lotte tra donne mi fanno solo incazzare, come una bestia.
E poi, io non sono di nessuno, e nessuno deve rivendicare diritti su di me, men che meno una rozza travestita. E poi la commessa è la metà di lei, non è stato corretto aggredirla.
Se ci fosse stata la dea, lì, col cavolo che quella vacca l’avrebbe attaccata, ne sono sicuro.
Mi giro verso la commessa che è ancora lì, appiccicata al muro, con l’espressione confusa.
«Ti accompagno fuori» le dico «Non sia mai che quella cretina decida di vendicarsi su di te»
«Che le hai detto?»
mi chiede.
«Di andare a rifarsi il trucco»
La commessa solleva le sopracciglia ed assume un’espressione dubbiosa.
«E basta?»
«No, le ho pure detto che è brutta»
Lei scoppia a ridere. Resto interdetto.
In genere le donne sono abbastanza solidali, anche con quelle che le attaccano. Lei invece ride.
«Tu sei strana»
«E tu sei un troglodita»
ribatte, continuando a ridere.
Procediamo verso l’uscita, noto che si massaggia il braccio. Le chiedo come farà a tornare a casa, lei mi mostra un mazzo di chiavi e fa un cenno con la testa verso una fila di macchine.
«Ho la macchina parcheggiata laggiù»
Spalanco gli occhi.
«Vuoi guidare?»
Lei annuisce.
«Con quello che ti sei bevuta?»
La commessa corruga la fronte.
«Ma se non ho nemmeno finito la birra che mi ha portato Ali!»
«E tutte quelle bottiglie vuote sul tavolo?»
Lei ride di nuovo e dannazione, mi viene voglia di baciarla.
«Ci siamo sedute ad un tavolo che si era appena liberato, le bottiglie appartenevano ai tizi appena andati via»
spiega. Annuisco e mi giro a guardare l’entrata del locale. Non so se ho voglia di rientrare o se ho solo inconsciamente evitato di guardarla in faccia. Ripenso alle sue labbra, al suo sorriso che, anche se finto, è sexy da morire.
«Beh, ciao»
Le sento dire. Istintivamente mi volto di scatto e le afferro un braccio. Fa una piccola smorfia e ripenso a come si stava massaggiando. Allento un po’ la presa. Lei mi fissa. Non è spaventata, non è eccitata, mi guarda e basta. Come poco prima nel locale: impassibile, senza emozione.
Ripenso allo sguardo di quella volta, al negozio. Non è decisamente la stessa commessa che mi ha spinto ad andare via.
Mi avvicino e le dico:
«La mia serata è rovinata»
«Capita»
risponde asciutta. Rido. Che tipa. Mi avvicino di più.
«Non a me»
ribatto.
«In che modo, di preciso, posso aiutarti?»
Rido di nuovo e le metto la mano libera sul fianco.
Cazzo quanto è magra. Temo che se stringessi la presa, agguanterei sola la stoffa della gonna di jeans.
«Ian, che stai facendo?»
Il suo nome nella sua bocca mi scioglie il sangue e lo fa defluire direttamente nei pantaloni.
«Non è ovvio?»
«Sì, ma perché?»
Quante domande. Ed il mio cazzo ha iniziato a strepitare. Non ho risposte, ho solo voglia.
La bacio. Lei non si ritrae ma nemmeno ricambia. Resta ferma lì, con la bocca chiusa.
Non trema, non si muove, è immobile.
Apro gli occhi. Lei mi sta guardando. Non ho idea di cosa le passi per la testa, non c’è nessuna emozione né sul viso, né negli occhi. Niente.
