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06. SVEGLIARSI IN UN INCUBO

Livia non ebbe il coraggio di mettere a soqquadro il guardaroba di sua mamma, ma Nicole la convinse a provare alcuni abiti. Alla fine scelse di indossare un abito a tubino con scollo Schiffer blu notte, abbinato a un paio di scarpe col tacco del medesimo colore.

«Grazie Niki.» le disse Livia abbracciandola un'ultima volta, quando fu il momento di andare via per la sua amica.

«Ti chiamo domani mattina e sarà meglio che tu abbia qualcosa di interessante da raccontarmi.» le disse a metà tra l'essere seria e la spiritosa.

«Farò del mio meglio.» le rispose. La verità era che neanche Livia sapeva cosa aspettarsi da quella prima uscita. Forse la cosa migliore era non aspettarsi nulla, ma vivere quel momento cercando di prendere solo il meglio. Sì, avrebbe fatto così.

Mentre era di fronte allo specchio a finire gli ultimi ritocchi del trucco, le squillò il cellulare. Il nome di Michael sul display annunciava il suo arrivo fuori da casa sua. Quando Livia uscì di casa chiudendo a chiave e mettendo le chiavi nella borsetta che aveva portato con sé, Michael era già sceso dall'auto per andarle incontro.

Anche lui era bellissimo vestito con camicia e pantaloni di lino, capelli impomatati e un profumo inebriante che avvolse Livia quando si abbracciarono.

«Spero di non averti fatto attendere.» disse osservandola incantato. Livia sorrise compiaciuta e ringraziò Nicole.

«Mi auguro che tu abbia con te il portafogli, perché sennò tocca a te lavare i piatti, visto che sei guarita.» dichiarò con serietà. Livia gli rivolse un'occhiata penetrante e Michael cedette alla risata.

«Stai sereno, taccagno. Sono stata io a invitarti per sdebitarmi. Così non dovrò più subire le ture freddure.»

«Dovresti ringraziarmi, sono le mie freddure a far calare la temperatura di sera quest'estate.» disse accompagnandola alla portiera e aprendola per farla salire in auto.

«Se continui così però, farai tornare l'inverno. E io sono senza giacca.» ribatté Livia.

«Nel caso vedrò di prestarti qualcosa di mio.» rispose in tono conciliante salendo a sua volta in auto.

Michael mise in moto e partirono, dirigendosi al ristorante. Livia era emozionata, dentro di sé sentiva che sarebbe stata una serata indimenticabile.

***

Buio. Silenzio. Confusione. Freddo. Queste furono le sensazioni che accompagnarono il suo risveglio, oltre alla consapevolezza che l'oscurità non era determinata solo dall'assenza di luce, ma anche dal fatto che aveva qualcosa di morbido legato attorno agli occhi. Una fascia, forse una benda.

Poi arrivò la consapevolezza di non essere nel suo letto e nemmeno distesa su un materasso. Era in piedi, ma il peso del suo corpo non era sostenuto dai suoi piedi che quasi non poggiavano a terra, ad eccezione delle dita e una minuscola porzione della pianta. Era scalza, ma in quella posizione era come se portasse delle scarpe dal tacco molto alto, a cui non era abituata.

Le braccia erano sollevate verso l'alto, attorno ai polsi c'era qualcosa che l'obbligava a mantenere quella posizione. Tastò verso l'alto e il freddo contatto della pelle con le catene la fece rabbrividire. Dove diavolo era? Chi l'aveva portata lì e soprattutto perché infliggerle una simile tortura? Non riusciva a ricordare, aveva la testa pesante e la privazione della vista non l'aiutava. E c'era qualcos'altro. Le sue orecchie, sentiva che erano otturate!

Livia deglutì, ma non accadde nulla. Ci riprovò più volte, prima di rendersi conto che non era l'aria ad aver otturato le sue orecchie, ma solidi tappi ideati appunto per impedire di udire alcun suono. Il battito cardiaco del suo cuore che stava accelerando era l'unico rumore che potesse percepire. Poi iniziò il dolore.

Livia urlò per la sofferenza e fu in quel momento che percepì un'altra morbida fascia legata attorno al suo viso, allo scopo di mantenerla zitta e buona. Un semplice mugolio uscì dalla sua bocca, ma lei non poteva saperlo. Non poteva vedere, non poteva parlare e anche se le avessero tolto il bavaglio non avrebbe potuto udire il proprio urlo. Stava vivendo un incubo.

Non sapeva da quanto tempo si trovasse legata e appesa, ma a giudicare dalle fitte di dolore lungo braccia, gambe e schiena dovevano essere delle ore. Quasi quasi avrebbe preferito continuare a dormire, così adesso non sarebbe ridotta a quel silenzioso e angosciante supplizio. Qualcuno sarebbe venuto a vedere come stava? O forse l'avrebbero lasciata là finché non fosse morta? A che scopo torturarla in quel modo?

"Non ho fatto niente di male. E anche se così non fosse, nessuno merita di soffrire così. Vi prego, venite a tirarmi giù!"

Una parte della sua mente era consapevole che quella muta richiesta d'aiuto non poteva essere udita da chiunque l'avesse messa lì. Ma ne aveva bisogno per sentirsi viva, perché nello stato di privazione sensoriale a cui era stata ridotta le sembrava di essere già morta, sebbene il cuore continuava a rimbombare nella sua cassa toracica. Provò a fare dei respiri profondi.

"Calmati Liv, tutto questo stress non ti porterà a niente! Non mi hanno ancora uccisa, perciò è chiaro che vogliono qualcosa da me! Ma cosa?"

L'ipotesi iniziale fu di essere nelle grinfie di uno stupratore, ma non aveva senso. Quella particolare categoria di "uomini" non andava tanto per il sottile. Si appartavano con la vittima per approfittare di lei, in caso di reazione difensiva usavano le maniere forti. E poi c'erano quelli che preferivano aspettare che la droga disciolta nel drink o l'alcool rendessero la preda docile ai loro voleri.

Livia provò a muovere la caviglia sinistra. A differenza dei polsi non avvertiva alcuna costrizione e quando passò la pianta del piede sulla caviglia destra, seppe di avere le gambe libere. Provò a sollevare entrambi i piedi da terra e due atroci fitte di dolore le fecero cacciare un urlo soffocato. Non sapeva quanto forte avesse gridato a causa dei tappi per le orecchie e del bavaglio, ma sentì di avere la gola irritata. Ma poteva anche essere una conseguenza della droga che dovevano aver usato su di lei.

Era passato troppo tempo da quando l'avevano appesa, se avesse tentato di sferrare calci al suo rapitore avrebbe finito solo per procurarsi altro dolore. A parte il fatto che sarebbe stato impossibile colpire qualcuno che non poteva vedere e nemmeno sentire.

"Sforzati di ricordare, Liv! Cosa stavi facendo prima di ritrovarti qui? Mi avranno anche drogata, ma non posso avermi cancellato la memoria!"

Il volto di Michael le apparve davanti agli occhi. Erano usciti assieme, adesso ricordava! Lui l'aveva aiutata quando lei aveva preso quella storta, le aveva pagato le visite mediche e per sdebitarsi, ma anche per conoscere meglio quel bel ragazzo dagli occhi verdi. Erano andati a mangiare cinese, una delle prime cose che avevano scoperto di avere in comune. Si era divertita, era stata bene e quando erano usciti, meditava di rivederlo per un'altra uscita.

Ma cos'era successo dopo? L'aveva riaccompagnata subito a casa o c'era stato dell'altro? Era difficile pensare lucidamente mentre il dolore fisico, conseguenza della posizione innaturale in cui era stata messa, le inviava impulsi costanti così forti che le stavano lacrimando gli occhi. Cosa ne sarebbe stato di lei se nessuno fosse venuto? Non sarebbe mai riuscita a liberarsi. Un pensiero agghiacciante le attraversò il cervello, terribile quanto una fitta di dolore.

"Non voglio morire così!"

Mentre cercava di dirottare la propria mente verso pensieri più positivi, Livia registrò due cose attraverso il suo corpo. La prima era un lieve flusso d'aria, come se qualcuno avesse lasciato aperta una porta. Nel suo caso, come se qualcuno avesse aperto una porta e fosse venuto da lei. La seconda cosa che registrò fu che era nuda. E questo non fece che peggiorare il suo stato mentale, perché temeva che il rapitore si fosse spinto ben oltre il toglierle i vestiti.

Livia fece uno scatto terrorizzata, quando percepì due mani ai lati della sua testa e sentì che le venivano estratti i tappi delle orecchie. Il suo sollievo fu sostituito da un brivido di terrore, quando il nuovo arrivato la salutò con una voce distorta da qualche apparecchio elettronico.

«Ben svegliata, piccola Liv. Ti do il benvenuto in quella che sarà la tua nuova vita.» sussurrò minaccioso il suo rapitore.

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