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8 - Ferite nascoste

Passeggio per le strade di Praga, stringendomi nel mio cappotto rosso scuro come se fosse un'armatura contro il freddo pungente di ottobre. Il cielo grigio sopra di me riflette il mio stato d'animo, mentre aggiusto il cappello che il vento tenta di portarmi via.

Anche questa mattina sono uscita in largo anticipo, incapace di restare tra le mura del mio appartamento. La notte è stata un'altra battaglia persa contro l'insonnia, ma questa volta non ho lottato contro i soliti demoni. Invece, ho ripassato mentalmente ogni istante passato con Lukas la sera prima.

Ogni parola, ogni sguardo, ogni tocco. Lukas ha un modo di entrare sotto la mia pelle, di insinuarsi nei miei pensieri, e non riesco a liberarmene. C'è qualcosa in lui che mi attrae in un modo quasi tormentato, come un naufrago attratto dal canto delle sirene.

Non è solo il suo aspetto, anche se i suoi occhi scuri e il sorriso enigmatico potrebbero far perdere la testa a chiunque. È qualcosa di più profondo, qualcosa che non riesco a spiegare nemmeno a me stessa.

Il freddo di ottobre a Praga è tagliente, come lame di ghiaccio che sfiorano la mia pelle. Mentre cammino verso la galleria di Malá Strana, i miei passi risuonano sul selciato bagnato, un ritmo costante che accompagna i miei pensieri.

La città è viva intorno a me: il traffico scorre lento, i clacson suonano come un'orchestra dissonante, e i turisti si affollano sui marciapiedi, scattando foto e ammirando l'architettura gotica. Gli abitanti corrono al lavoro, avvolti nei loro cappotti, con le teste chine contro il vento freddo.

Il mio percorso verso la galleria mi porta attraverso il Ponte Carlo, dove le statue sembrano osservare silenziosamente il flusso incessante di persone. Attraverso la piazza della Città Vecchia, con il suo orologio astronomico che segna il tempo in modo quasi magico.

Ogni angolo di Praga sembra avvolto in un velo di mistero, ogni strada nasconde segreti che aspettano solo di essere scoperti, e io, che tento di nascondere i miei, pare proprio che vi dovrò fare i conti molto presto.

Mi perdo nei miei pensieri, ripensando a come Lukas mi ha guardata, come se potesse vedere dentro di me, oltre le mie difese.

Questa mattina, prima di alzarmi dal letto, ho immaginato come sarebbe stata la serata passata se entrambi non avessimo dato potere ai nostri freni inibitori.

Magari è stata solo un'illusione, ma per un attimo ho creduto che anche Lukas provasse una sorta di attrazione nei miei confronti. Il suo modo di accarezzarmi con lo sguardo aveva una sfumatura ardente, un che di famelico. Ma forse mi sbaglio, sono io che voglio vedere segnali che in realtà non ci sono. Sospiro rassegnata.

Stringo l'ombrello con forza, sentendo il freddo metallo contro la mia pelle. La pioggia picchietta sulla tela, un suono ipnotico che si mescola al rumore dei miei passi.

Ogni goccia sembra un sussurro, un ricordo della notte passata. Il vento mi sferza il viso, portando con sé l'odore della pioggia e delle foglie bagnate. Ogni respiro è un misto di freddo e umidità, un contrasto che mi fa sentire viva e vulnerabile allo stesso tempo.

Mentre cammino, incrocio lo sguardo di una donna dall'altro lato della strada. Indossa un cappotto lungo e nero che ondeggia come un'ombra e un cappello stile basco che nasconde uno chignon biondo cenere.

Mi fissa con insistenza e un brivido mi percorre la schiena. Sembra avere la mia età, forse qualche anno in più, ma c'è qualcosa di inquietante nel suo sguardo. So che dovrei stare lontana da lei, ma la sua sfacciataggine nel fissarmi mi rende curiosa e impaziente.

Senza prestare attenzione, attraverso la strada in prossimità della galleria d'arte. Improvvisamente, sento il clacson di un furgone. Stringo gli occhi, sentendo la mia fine imminente, ma poi qualcuno afferra il mio braccio e mi tira verso il marciapiede. Il mio ombrello finisce sull'asfalto e viene schiacciato dal furgone, facendo la fine che sarebbe toccata a me.

《Helena!》 esclama Jan, con la voce piena di preoccupazione. 《Va tutto bene?》

Ancora scossa, non riesco a rendermi conto di cosa stava per accadermi. Il mio sguardo è perso nel cercare quella donna. Jan mi posa le mani sul viso e, a quel contatto, mi scanso, ritornando alla realtà, anche se continuo a sentirmi confusa.

《Helena, cosa ti stava passando per la testa?》 mi chiede premuroso, lasciando vagare i suoi occhi azzurri sul mio viso, in cerca di indizi sui miei pensieri.

Balbetto, cercando di giustificarmi, ma in realtà questa volta non so proprio cosa dire. Il mio controllo vacilla e mi ritrovo a tremare. Jan mi prende per un polso e, senza accettare alcuna obiezione, mi conduce verso una caffetteria nei pressi della galleria.

Entriamo nella caffetteria, e l'odore di caffè appena macinato e di dolci appena sfornati mi avvolge come una coperta calda. Il contrasto con il freddo esterno è quasi scioccante. Jan mi guida verso un tavolo vicino alla finestra, dove posso ancora vedere la strada e cercare quella donna con lo sguardo.

《Helena, devi stare più attenta,》 dice Jan, togliendosi il cappotto e scuotendo via le gocce di pioggia. Indossa un maglione grigio che sembra fatto apposta per lui, avvolgente e confortevole. 《Sembravi distratta, ma questa volta ti è andata bene!》

Annuisco, ancora incapace di parlare. Il calore della caffetteria inizia a sciogliere il gelo che sento dentro, ma il mio cuore batte ancora all'impazzata. Jan ordina due caffè e un paio di croissant e io cerco di calmarmi, respirando profondamente l'aria calda e profumata.

Jan mi osserva con un’intensità che mi fa sentire improvvisamente vulnerabile e in difetto. Ho sempre mantenuto una certa distanza nei suoi confronti, ma ora sento che qualcosa potrebbe cambiare. Dopo tutto, mi ha salvato la vita, e non è cosa da poco.

Mentre Jan sembra raccogliere il coraggio per addentrarsi in una conversazione più personale, mi rendo conto di aver perso i miei occhiali. Mi tocco il viso, cercando di ricordare dove li ho lasciati.

《I miei occhiali!》 esclamo, sentendo il panico crescere dentro di me.

Jan guarda distrattamente fuori dalla finestra e dice: 《Probabilmente ti sono caduti insieme all'ombrello e saranno andati distrutti.》

Un lieve crollo emotivo mi travolge. 《Senza i miei occhiali non posso lavorare,》 mormoro, la voce tremante.

Sento il peso della gratitudine come un macigno sul petto, ogni respiro pare un promemoria del debito che ora ho verso Jan. Senza dire altro, mi alzo e corro fuori dalla caffetteria, ignorando le chiamate di Jan che mi dice di aspettare.

Giunta nella galleria, mi sento leggermente più al sicuro, ma quando poso lo sguardo sul dipinto che ho definito oscuro e inquietante, un senso di claustrofobia mi opprime, comprimendomi lo stomaco fino a farmi venire la nausea.

Prima di dare di stomaco, prendo un panno e copro il cavalletto e la tela, spostandoli in un angolo remoto del laboratorio. Le sensazioni oscure che mi dona quella raffigurazione mi tramortiscono, come se un'ombra pesante si fosse posata sul mio cuore.

Poco dopo, Jan arriva con dei bicchieri monouso e dei sacchetti contenenti delle brioches. Il profumo dolce e invitante riempie l'aria, ma non riesce a sollevare il mio spirito. Mi osserva senza parole, confuso, e non perde tempo a chiedermi spiegazioni.

《Helena, cosa ti sta succedendo?》 chiede, la voce piena di preoccupazione.

Mi siedo su uno sgabello, cercando di raccogliere i miei pensieri. 《È solo... tutto troppo,》 balbetto, sentendo le lacrime bruciare dietro gli occhi. 《Credo... credo... di essere sotto pressione. Ecco!》 rispondo improvvisando.

Jan si avvicina e mi porge una brioche. 《Prendi, mangia qualcosa. Ti farà sentire meglio.》

Accetto la brioche, ma non riesco a mangiarla. Il mio stomaco è ancora in subbuglio e il senso di claustrofobia non mi abbandona. Jan si siede accanto a me, il suo silenzio è un conforto inaspettato. Non so cosa dire, ma la sua presenza mi aiuta a calmarmi, almeno un po', almeno fino a quando non cerca di indagare sulla mia vita.

Jan mi guarda con calma, ma i suoi occhi sono pieni di domande non dette. 《Senti, Helena,》 inizia, la sua voce è come un ruscello che scorre placido, cercando di tranquillizzarmi. 《Ti conosco da quattro anni ormai, e in questo tempo mi hai sempre tenuto a debita distanza. A me andava bene così.》

Il mio cuore inizia a battere più forte, come un tamburo in una marcia funebre. Sento che sta per arrivare qualcosa di scomodo.

《Ma ho notato diversi tuoi atteggiamenti,》 continua, 《e mi sono sorte spontanee delle domande.》

Mi sento agitata, come una farfalla intrappolata in un barattolo di vetro. Le sue parole sono come chiavi che cercano di aprire porte che ho sempre tenuto chiuse.

《Ho sempre provato un certo interesse per te,》 ammette, e il mio respiro si blocca. 《Ma vista la notevole differenza di età, non mi sono mai sbilanciato. Oltretutto, credevo avessi un compagno.》

Abbasso lo sguardo, incapace di sostenere il suo. Le sue parole sono come frecce che colpiscono il bersaglio, una dopo l'altra.

《Ma poi ho capito che sei sola,》 continua, la sua voce è un sussurro che si insinua nelle mie difese. 《Che tu vivi per il lavoro. Passi più tempo alla galleria che a casa tua, e per quanto il restauro possa essere la tua passione gratificante, è tutto molto triste.》

Il mio impaccio cresce, come un'ombra che si allunga al tramonto. Non so come rispondere, le parole mi sfuggono come sabbia tra le dita. Jan mi osserva, aspettando una risposta che non so dare.

《Helena, cosa ti è successo?》 chiede, la sua voce è un balsamo che cerca di lenire le mie ferite.

Balbetto, cercando di trovare una scusa, ma la verità è che non so cosa dire. Il mio controllo vacilla e mi ritrovo a tremare. Jan si avvicina, il suo sguardo è pieno di preoccupazione e curiosità.

《Non devi dirmi tutto,》 dice, cercando di rassicurarmi. 《Ma vorrei capire cosa ti tormenta.》

Le sue parole sono come una mano tesa nel buio, ma io non so se posso afferrarla. Il mio cuore è un campo di battaglia, e ogni emozione è una freccia che mi trafigge.

Jan tenta di afferrarmi la mano, ma un lieve fastidio mi attraversa come una corrente gelida. La ritraggo istintivamente e vedo il dispiacere nei suoi occhi. Mi sento mortificata, come se avessi infranto un fragile equilibrio. Non voglio essere scostante con lui, desidero solo che le cose tornino come prima.

Mentre cerco delle scuse, il mio sguardo vaga per il laboratorio. I personaggi dei dipinti sembrano fissarmi, i loro occhi dipinti giudicano ogni mio movimento, ogni mio pensiero. È come se conoscessero il mio passato, come se potessero vedere attraverso le maschere che indosso.

Il cuore mi batte forte, come un tamburo di guerra che preannuncia una battaglia imminente. Le parole di Jan sono come lame che cercano di tagliare le catene che ho sempre tenuto strette. Mi sento agitata, come una prigioniera condannata a morte.

Petr, il direttore, bussa alla porta ed entra seguito da Lukas Richter. Il mio cuore salta un battito. Mi sento estasiata e, allo stesso tempo, sollevata di poter approfittare del momento per accantonare la tensione e il discorso con Jan.

《Buongiorno Helena,》 si annuncia Petr con un tono formale, 《Il signor Richter è qui per discutere del progetto.》

Jan interviene subito, 《Non è il caso che Helena discuta di nulla ora, è un po' scossa.》

Lukas mi guarda con preoccupazione. 《Va tutto bene, signorina Novak?》 chiede, la sua voce è come una melodia dolce che calma la mia anima.

Mi alzo in piedi, cercando di mostrare una sicurezza che non sento. 《Sto benissimo,》 dico, con un sorriso forzato. Mi avvicino a Lukas, sentendo il calore della sua presenza che mi avvolge come un abbraccio.

《Mi dica, signor Richter, cosa posso fare per lei?》 chiedo, cercando di mantenere la voce ferma.

Lukas mi sorride, e per un momento, tutto il resto sembra svanire. 《Vorrei che lei mi aiuti a ritrovare alcuni cimeli di famiglia.》 risponde, il suo tono leggero e rassicurante.

Mi volto verso Jan e Petr, cercando di non far trasparire la mia agitazione. 《Scusateci un momento,》 dico, seguendo Lukas fuori dal laboratorio. Mentre ci allontaniamo, sento il peso della tensione sollevarsi, anche se solo per un istante.

Ogni passo che faccio accanto a Lukas è come un respiro di aria fresca, un momento di tregua nella tempesta che infuria dentro di me. Ma so che la tempesta non è finita, e che dovrò affrontare le sue onde prima o poi.

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