Capitolo 2 - Mia Handers
(qualche tempo prima)
Il cellulare emise un gemito improvviso, avevo dimenticato di mettere il silenzioso prima di uscire, e adesso mi toccava sorbirmi le lamentele del professor Hausman, che naturalmente arrivarono puntuali.
“Miss Handers è sorda forse?” disse in tono seccato, “No, mi scusi professore, ora spengo il telefono” risposi, mostrando imbarazzo per la mia dimenticanza.
“E’ la terza volta questa settimana che mi costringe ad accettare le sue scuse, alla prossima le garantisco che lascerà l’aula, sono stato chiaro?” ribatté piuttosto adirato,
“Chiarissimo” replicai immediatamente, sostenendo il suo sguardo.
Era inutile, da più di un mese tutti i miei pensieri erano focalizzati su Jason e sulla proposta che mi aveva fatto. Andare al mare con lui mi allettava molto, più problematico sarebbe stato farlo accettare da mio padre.
Da quando mamma era morta, circa sei anni prima, non si era più ripreso, come del resto era successo a me, anche se dalla mia parte avevo avuto l’arma più potente al mondo per rimettermi in sesto: l’immaturità dei miei quattordici anni e l’ingresso nella fase adolescenziale.
Era vero, dunque, che la natura proteggeva dal dolore coloro che non ne potevano sopportare il peso, perché io ne ero stata la prova.
Mi ero diplomata ed ora affrontavo il secondo anno della facoltà che avevo scelto con grande determinazione: Storia dell’Arte.
Stavo con Jason da quasi tre mesi, era stato un miracolo che un ragazzo si fosse interessato a me, così mi ero buttata in questa relazione con la speranza che funzionasse, e la cosa mi era piaciuta.
Eppure, lo tenevo ancora a debita distanza dalla mia casa, da mio padre, perché era presto per legarmi seriamente con qualcuno, pertanto dover fuggire per il week end per andare al mare sarebbe stata un’azione ardua per me.
Avrei voluto più libertà, ma il prezzo sarebbe stato altissimo per una come me.
Ad un tratto la lezione venne interrotta a causa dell’ingresso inatteso dell’impiegata addetta alle iscrizioni, che aveva spalancato la porta senza nemmeno bussare.
“Mi scusi professore, ma ho un grande problema in segreteria, mi hanno detto di rivolgermi a lei” disse.
Hausman sbuffò, mi dispiacque per lui, ma in giro si diceva che fosse troppo altruista e spesso si sobbarcava impegni che poi non riusciva a mantenere, così accadeva sovente che le sue lezioni venissero interrotte all’improvviso, proprio a causa della sua immensa disponibilità.
“Cosa succede?” chiese in tono preoccupato, “C’è un problema con un nuovo iscritto, non ne vengo fuori ho proprio bisogno di lei” rispose secca.
“Mi dia cinque minuti” rispose, la donna annuì e lasciò l’aula, mentre Hausman guardò verso la mia parte con un’espressione divertita.
“Miss Handers?” chiamò a gran voce, ero incredula, “Dica professore.”
“Venga al mio posto e introduca il capitolo dieci riguardante l’arte barocca” ordinò, era evidente che lo avrebbe fatto, le sue punizioni si traducevano sempre in tentativi di ‘umiliazione’, ma come al solito venivano disattesi, io studiavo e lui non avrebbe potuto negarlo.
“Okay” replicai raggiungendo la sua postazione.
Dapprima introdussi la definizione del termine barocco applicato all’arte del Seicento, poi spiegai che la stessa aveva lo scopo di toccare l’animo e i sentimenti della gente, ecco perché la forma barocca assumeva proporzioni monumentali che ostentavano l’eccesso.
Nel momento in cui mi apprestai a proiettare il lucido preparato precedentemente dal professore, vidi entrare Hausman con il registro di classe, dietro di lui un ragazzo piuttosto alto mi provocò una distrazione.
Si affiancò, prese una penna dallo zaino che teneva in mano e firmò il registro che il professore aveva appena appoggiato sulla cattedra; quindi, mi passò davanti dirigendosi nella fila di banchi vuoti, proprio vicino al posto che mi ero scelta.
“Vada avanti Miss Handers” sollecitò, vedendomi con mezza bocca aperta e lo sguardo perso “Si… certo professore” balbettai, cercando di domare quella fatale curiosità che era divampata nello stesso momento in cui quel nuovo iscritto aveva catturato la mia attenzione.
Proseguii per un’altra mezz’ora, di tanto in tanto lanciavo un’occhiata furtiva a quello nuovo, per capire sé stesse ascoltando e stranamente lo trovai attento.
Finalmente la tortura terminò.
Stavo per sedermi al posto che mi ero scelta, quando lui si alzò, posò i suoi occhi azzurri su di me ed esclamò “Lezione interessante” quindi lasciò l’aula a grandi passi senza darmi il tempo di ribattere.
Non avevo mai veduto due occhi così intensi, l’azzurro ricordava il cielo terso, e le ciglia lunghe e nere ne delimitavano i contorni, rendendo il taglio decisamente affascinante.
Bah! Io… un esemplare del genere non avrei mai potuto averlo!
Sarebbe stato troppo per una come me, così dannatamente ordinaria, perlopiù segnata da un problema congenito che era stata la mia spada di Damocle fin dalla nascita.
Nelle mie vene scorreva un sangue raro, un sangue che mi obbligava a stare sempre all’erta. Tagli, abrasioni, ferite di proporzioni gravi avrebbero potuto trasformarsi in vere e proprie calamità per la mia salute.
Trovare un sangue simile per fare trasfusioni sarebbe stato estremamente difficile, quasi come cercare un topo nell’immenso Sahara, impresa assai ardua e quasi impossibile. Così mi ero organizzata la giornata da quando avevo mosso i primi passi nella scuola.
Bende, cerotti, disinfettanti e piccole pinze anti-taglio ospitavano costantemente uno strato della mia borsetta, mentre nello zaino, tenevo una piccola scatola per l’emergenze.
La mia vita non era mai stata facile, ma da quando frequentavo Jason mi era sembrata ancora più complicata.
Raccolsi i libri e l’impilai nello zaino pronta per affrontare il problema del fine settimana, in fondo era giusto che mi distraessi un po’.
D’un tratto il cellulare vibrò, tolsi la modalità silenzioso e notai il messaggio ricevuto.
Ti aspetto al Bistrot
Baci Jason
Scossi il capo, avevo dimenticato che avremmo dovuto pranzare assieme; pertanto, mandai un messaggio a mio padre avvertendolo che non avrei presenziato a pranzo, poi uscii dall’aula trafelata.
Nel passare davanti alla segreteria, notai una piccola folla di ragazze, stavano confabulando fra loro a bassa voce, Mary, la mia migliore amica teneva il comizio gesticolando come una pazza.
Cercai di passare inosservata, ma lei mi vide prima di chiunque altro “Mia!” urlò, alzai lo sguardo, pronta a sorbirmi le sue solite chiacchiere.
“Aspettami, esco con te” ordinò, così mi bloccai, attesi un istante, giusto il tempo necessario affinché congedasse le altre, e mi raggiungesse.
“Allora? L’hai visto quello schianto?” domandò toccandosi i capelli, lo faceva sempre quando era interessata a qualcuno.
“Ti riferisci al nuovo iscritto?” risposi, intuendo a chi si stesse riferendo, “E chi se no? Pronto? Ma dove sei con la testa?” replicò, prendendomi in giro come di consueto.
“Scusa ma devo trovare una scusa per fuggire con Jason questo fine settimana” dissi, evitando il discorso e cercando di giustificare il mio comportamento.
“Una scusa per chi?” chiese, fissando le mie iridi.
“Mio padre” dissi, Mary mi prese le spalle e con tono autorevole disse “Mia, tu hai vent’anni, che diavolo stai facendo? Da quando devi chiedere il permesso?”
“Non devo chiederlo è solo che… poi si preoccupa” risposi ricambiando il suo sguardo.
“Cosa farà quando uscirai di casa e ti sposerai?” continuò, senza mai staccarmi gli occhi di dosso, la guardai torva, come se avesse pronunciato uno sproloquio, chi mai avrebbe avuto il coraggio di sposarmi?
“Non succederà tanto presto, credimi” dissi mesta, “Non puoi saperlo e comunque spiega a tuo padre semplicemente che desideri andare al mare con Jason perché sei la sua ragazza e vuoi restare sola con lui, tutto qui” suggerì, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
“La fai semplice tu” replicai abbassando il capo.
“Comunque stavamo parlando di… tu sai come si chiama?” chiese tutto d’un tratto ricordandosi del motivo per cui mi aveva fermata, “No” risposi sincera.
“Non importa, stasera glielo chiederò” disse, sfoderando un sorriso di circostanza.
Quasi senza accorgermene, la domanda mi uscì tutto d’un tratto “Perché esci con lui?” Mary scoppiò a ridere, si sistemò nuovamente i capelli e mi fornì la sua risposta, “No sciocca, stasera c’è la grande festa, non dirmi che ti sei dimenticata anche di questo?” spiegò, sentii il cuore impennarsi, il battito divenne furioso e il calore s’irradiò fin sulle gote.
“Cazzo…” imprecai abbassando il capo.
Mary mi prese da parte, era interdetta.
“Adesso ascoltami bene! Jason ti sta aspettando a pranzo quasi certo che tu ti sia organizzata per i costumi da indossare, se adesso lo incontri e gli confessi che non hai fatto un bel fico secco, sono sicura che gli darai da pensare. Ecco quello che devi fare…” ordinò.
Ascoltai con attenzione le sue parole, quindi risposi con una flebile sussurro “Grazie…” poi sparii dalla sua vista.
Se non ci fosse stata Mary, nella mia vita, non so cosa avrei fatto.
“Ciao”, disse Jason appena mi vide entrare nel Bistrot, “Ciao Jas, scusa per il ritardo” risposi affannata, mentre prendevo posto di fronte a lui.
“Allora? Hai preso i costumi per stasera?” chiese tutto eccitato.
Eccolo il copione previsto, meno male che mi sarei salvata all’ultimo istante, e per merito della mia amica chiacchierona.
“Sì, sono a casa di Mary” risposi sicura, i suoi occhi s’illuminarono.
“Molto bene, sapevo di essere in buone mani” disse, regalandomi un meraviglioso sorriso, ma la sua esclamazione mi fece deglutire.
Pranzammo e parlammo del più e del meno. Di tanto in tanto guardavo il suo viso cercando qualche piccolo difetto, ma Jason aveva lineamenti perfetti, un naso diritto e due occhi nocciola molto espressivi.
L’unico neo era che…forse non ne ero follemente innamorata.
Oddio mi piaceva parecchio, ma non avevo sentito quel battito furioso al petto, quello che di solito ti spacca in due dall’emozione, ma sapevo anche che era molto raro che accadesse.
D’un tratto il viso di quello sconosciuto si materializzò nella mia mente, ma era così lontano dai miei propositi, così impossibile da raggiungere, che non mi ero nemmeno concentrata abbastanza nell’osservarlo, ricordavo solo i suoi occhi, il resto vagava nella nebbia più assoluta.