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7/155. La scommessa

- APRIMI HOPE!

Sbattevo con forza i pugni sulla porta, urlando come un’ossessa, ma la mia amica, anzi mia sorella, non dava cenni di voler ascoltare la mia richiesta.

Era dentro casa, per forza doveva essere così, il codice era stato cambiato.

Doveva essere sconvolta davvero se la prima cosa che ha pensato di fare una volta rientrata era stata di cambiare il codice di apertura.

- Ti ho detto di aprirmi! Altrimenti ti giuro che butto giù la porta! Chiamo i vigili del fuoco! Davvero! Non scherzo! – la minacciai esasperata e confusa, ma niente, neanche un suono proveniva da dentro l’appartamento.

Non potevo più sopportare quella situazione e sfibrata da quell’angosciante attesa di scoprire che cosa le fosse accaduto iniziai a comporre il numero del pronto intervento, quando una voce dietro di me mi fece sussultare.

- Violet, che diavolo sta succedendo? Cosa vai urlando per tutto il pianerottolo! Non dovresti essere al ricevimento del matrimonio di Hope? – mi chiese il signor Brown un nostro vicino di casa.

- Qualcosa di terribile è accaduto alla cerimonia! Io l’ho persa di vista solo per poco, mi hanno fermato mentre cercavo di raggiungere il mio posto di damigella…poi sono entrata e non c’era più’…al suo posto solo un idiota che rideva soddisfatto come uno psicopatico! – spiegai tra le lacrime, travolta da un senso di colpa impossibile da descrivere.

- Ok…ok…calmati…sei sicura che sia lì dentro? – mi domandò, evidentemente con l’intento di darmi una mano.

- Certo! Ha cambiato il codice per impedirmi di entrare…appena le metto le mani addosso la strangolo! – ribattei furiosa.

- Va bene…chiamo i miei colleghi e cerchiamo di risolvere. – mi rassicurò Brown.

Era un uomo di mezza età, lui e la moglie erano persone estremamente cordiali e disponibili, qualità molto rare in questa parte della città, dove a causa dei problemi sociali e di sicurezza si è costretti ad essere sempre sospettosi di chiunque ti si avvicini per chiedere anche solo un’informazione.

Lui era un vigile del fuoco e per una volta fui fortunata e potei sfruttare una mia conoscenza a mio vantaggio.

Finalmente dopo mezz’ora, poco tempo in effetti, ma a me sembrò un’eternità, riuscimmo ad entrare nell’appartamento di Hope

- ‘Piccola! Cosa è successo?’ – avrei voluto chiederle, ma lo spettacolo di Hope, che sembrava senza vita, buttata sul suo letto desolato, rannicchiata quasi a volersi chiudere in sé stessa per poi sparire, mi tolse il respiro.

- My love! Che ti hanno fatto? Sono qui! Siamo insieme e lo supereremo insieme, come abbiamo sempre fatto! – riuscii soltanto a dirle, mentre correvo verso di lei.

Mi accasciai accanto al letto e con la mano iniziai ad accarezzarle la testa spettinata.

Il mio tesoro giaceva devastata davanti a me: gli occhi chiusi e gonfi ed il viso livido per il pianto, emettendo solo un flebile respiro a darmi prova che fosse ancora viva.

Feci un cenno di ringraziamento con il capo a Brown, lui comprese al volo ed insieme ai suoi colleghi lasciarono l’appartamento.

Mi gettai su Hope, cercando di attirarla a me e abbracciarla forte ma lei non ne voleva sapere di reagire.

- Cosa ti ha fatto quel maledetto? Parlami, ti prego! –implorai, ma niente.

Avevo bisogno di scrollarla da quello stato di torpore, per strapparla da quel limbo che l’aveva risucchiata.

Ecco l’idea!

Iniziai a svestirla.

Hope si lasciava muovere senza opporre alcuna resistenza, era senza forze e senza volontà. Poi, facendo appello a tutte le mie energie, la trascinai sotto la doccia.

Inizialmente regolai l’acqua perché’ fosse calda, per aiutarla a sciogliere la tensione e levare via l’angoscia che l’attanaglia. L’aiutai a lavare i capelli e a pulirsi il viso, ridotto ad una maschera di colori sfatti dal pianto, controllai meticolosamente ogni parte del suo corpo, per verificare che non le avessero fatto del male. Poi, di colpo, aprii l’acqua fredda e l’improvviso sbalzo di temperatura sortì l’effetto desiderato, riportandola finalmente alla realtà…da me.

- Sei impazzita!? Vuoi farmi prendere un accidente? Che ti salta in mente? – mi urlò contro Hope.

Sorrisi, mia sorella era tornata nel mondo dei vivi.

- Te la sei cercata! È colpa tua! Mi hai lasciato in quella chiesa desolata, con quel Brian che non ha voluto degnarmi neanche di una spiegazione, mentre tu scappavi come una disperata! – la mia voce non era di rimprovero ma di profonda preoccupazione e desiderio di giustificarmi.

- Scusami! – Hope riuscì a dirmi solo questo.

Uscì in silenzio dalla doccia, si asciugò corpo e capelli.

Nel frattempo, le lasciai la sua privacy, mentre decisi di preparare qualcosa da mangiare, perché potesse recuperare le energie perdute a causa della corsa forsennata della mattina, di tutte le lacrime versate e di quell’evidente dolore che le stava squarciando l’anima.

Finalmente ci sedemmo a tavola e dopo essersi rifocillata mi raccontò quanto le era accaduto.

- Una scommessa? – chiesi incredula.

- Sì! – mi rispose asciutta.

- Cioè, scusa, solo per ripetere ed essere sicura di aver capito bene. George ti ha corteggiata per sei mesi, ha sopportato il tuo carattere pungente, il tuo spirito indomito, la tua testardaggine, la tua aggressività quando vogliono invadere il tuo spazio personale, ha vinto tutte le tue resistenze ed i tuoi timori per una scommessa fatta con il fratellastro? Per mollarti poi davanti all’altare? – riassunsi sbalordita.

- Esatto. – mi rispose con una voce gelida ed uno sguardo vitreo, senza emozione.

-Adesso che ci penso, dovrei sentirmi anche lusingata. Si sono scommessi la direzione dell’azienda se fossi capitolata. Devo essere onorata no? – commentò ironica, ma quella sua ironia aveva un sapore diverso dal solito e mi fece gelare il sangue.

Qualcosa si era spezzato in lei e io temevo di scoprire quali conseguenze avrebbe portato.

- Non ha molto senso. Ha speso milioni per organizzare la cerimonia, comprare il vestito da sposa, le partecipazioni per gli invitati, affittare la sala dei ricevimenti… - e avrei continuato con l’elenco se la fragorosa risata isterica di Hope non mi avesse interrotta facendomi gelare il sangue nelle vene e prima che lei parlasse, io intuii.

- Tutto falso, sorella mia! Tutto tranne pochi piccoli particolari. Come ad esempio il vestito e l’anello. Quelli erano veri. Ah…anche la partecipazione che hai ricevuto. Tutto il resto era una finzione. Ha solo detto a parole che avrebbe organizzato il matrimonio e poiché si è assunto lui il compito di pagare tutta la cerimonia, io non sono andata a controllare. A quel punto ero troppo accecata dall’ amore per rendermi conto di qualsiasi cosa. – e per nascondere la disperazione che stava montando di nuovo dentro di lei, nasconse il volto tra le mani.

- Ha calcolato bene i tempi, quel bastardo! Davvero ti conosce bene. – aggiunsi con una smorfia di disgusto stampata in viso.

Hope restò in silenzio. Un silenzio tenebroso, abissale e atroce, che mi fece pentire di aver pronunciato quelle parole.

Non si era mai aperta così tanto con nessun uomo, anzi, con nessun essere umano a parte me, invece a lui non solo aveva consegnato il suo cuore, ma gli aveva concesso la sua fiducia, gli aveva raccontato i segreti della sua anima e gli aveva permesso di toccarla, di baciarla.

Lui era stato il suo primo bacio, il suo primo appuntamento, il suo primo tutto, ed invece lei per lui era stata solo una scommessa da due soldi: conquistarla e poi abbandonarla in cambio della gestione della compagnia.

Cosa avrebbe fatto adesso? Come si sarebbe ripresa da tutto quel dolore, da tutta quella sofferenza e dalla sua mancanza, dal vuoto che sapevo si era formato dentro di lei?

- Cosa farai ora? In fondo lavori nella sua azienda. È lui che ti paga lo stipendio. – chiesi preoccupata al pensiero che quel bastardo potesse anche solo riavvicinarsi a lei e ferirla ulteriormente.

In tre anni di duro lavoro, aveva raggiunto l’incarico di responsabile della cyber security. Era una donna, era giovane e sapeva che quel posto era ambito da molti, che cercavano sempre di screditarla, cercando di dimostrare che non fosse all’altezza di ricoprire quell’incarico. Ma lei se lo era meritato!

Io me lo ricordavo bene.

Tutto era accaduto tre anni prima.

Hope era stata reclutata dalla Colton Corporation come stagista grazie agli ottimi voti universitari e alla raccomandazione del suo insegnate di indirizzo.

Si ammazzava di lavoro ormai da due anni, coprendo i turni dei suoi colleghi dipendenti e dispendendo tutte le sue energie per farsi notare.

La mia amica, grazie al suo duro lavoro, raggiunse il suo obiettivo, perché davvero tutti l’avevano notata, infatti era l’unica ad essere riconfermata all’interno del reparto di cyber security dell’azienda terminati i tre mesi di stage.

Pur continuando a ricevere un modesto rimborso spese, lei non si lamentava, sempre sorridente, si dedicava anima e corpo al suo lavoro.

Nel suo reparto, la consideravano un membro stabile dello staff, anche se ancora non aveva alcun contratto. Era talmente fusa con il tessuto dell’azienda che il suo responsabile l’autorizzò ad avviare un progetto di ristrutturazione della rete interna di sicurezza, per allinearla con gli standard internazionali in continuo mutamento.

Fu proprio grazie a quella nuova pianificazione che lei fu in grado di scoprire la falla di sicurezza all’interno dell’azienda.

Erano mesi che la Colton Corporation stava subendo perdite ingenti a causa di due progetti andati perduti.

Un’azienda concorrente aveva immesso sul mercato un prodotto del tutto uguale a quello della Colton, ma con due settimane di anticipo.

Una cosa mi ha insegnato Hope, che in quel campo le coincidenze non esistono. Era chiaro come il sole che si trattava di spionaggio industriale, ma nessuno riusciva a trovare il buco nel sistema, il punto di accesso ai dati.

Nessuno tranne Hope.

E fu proprio quella scoperta che la portò ad incontrare George Colton per la prima volta e quella fu la svolta della sua vita.

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