Capítulo 2
Caricata a molla alle sei del mattino, dopo una notte insonne ad alto tasso di ansia, salto fuori dal letto che condivido con mia madre, dandole un bacio sulla guancia.
Preparo il caffè danzando per la cucina come se avessi trovato il mio più grande amore, un amore che non mi sarei mai aspettata.
Alle sette, in preda allo stress, cerco di salire sull'autobus, vestita con una camicetta bianca con polsini di pizzo, jeans e stivali militari neri, ma non ce la faccio a causa dell'eccessiva quantità di studenti in attesa alla fermata.
Non mi rassegno, so che tra dieci minuti ne passerà un altro ma, mentre si ferma, apre le porte posteriori per far uscire altri studenti.
Altri dieci minuti e finalmente arriva un autobus su cui riesco a salire, trovandomi schiacciato come una sardina.
Non so come, ma alle sette e mezza sono a casa di Cosentino, così aspetto con timore che Paolo arrivi e mi faccia salire.
Alle otto e cinque un furgone Audi A nero mi fa finalmente lampeggiare gli abbaglianti. Mi alzo dalla panchina e lo raggiungo con la mia bandoliera.
Paolo è il mio collega e tutor e senza che me lo chieda salgo sul sedile del passeggero, osservando la pulizia dell'auto dentro e fuori.
- CIAO!
Inizio con l'estasi e il sorriso.
- Buongiorno a voi.
Risponde freddo come una statua di marmo, senza degnarmi di uno sguardo, e se ne va prima ancora che io possa indossare la cintura.
- Dove stiamo andando?
Gli chiedo alzando lo sguardo su di lui, notando quanto sia carino in giacca e cravatta, con i pantaloni grigio fumo di Londra e la camicia bianca, con gli occhiali da sole neri sul viso che mi impediscono di vedere i suoi occhi.
- Il primo negozio è a due ore di autostrada, una volta arrivato vi spiegherò tutto.
Rispondete semplicemente guidando nel traffico.
Il viaggio è monotono, io faccio domande e lui risponde con parole essenziali, finché mi rendo conto che forse è meglio se sto zitto.
Non gli piaccio particolarmente, forse lo faccio incazzare perché sono una donna, quindi guardo anch'io la strada e rimango sola.
Arrivato a destinazione, parcheggia in un grande ipermercato, scende e io lo seguo fino al retro dell'auto, dove apre il grande bagagliaio.
- Questa è la vostra borsa, dentro c'è la vostra tavoletta, oggi vi insegnerò a usarla.
Mi porge una borsa di pelle marrone, abbastanza grande da contenere un tablet e chissà cos'altro.
La metto anch'io sulla spalla e lo seguo in un rituale di silenzio fino all'ingresso del negozio, dove lo vedo fermarsi al banco della reception e presentarsi.
Ci danno due pass ed entriamo con loro, mentre diverse famiglie vanno a fare shopping con carrelli che, dal mio punto di vista, sono davvero scandalosi.
Quando c'era papà andavamo anche a fare la spesa e riempivamo il bagagliaio di borse ma, da quando se n'è andato, riesco a malapena ad andare a fare la spesa al supermercato locale che dista dieci minuti a piedi, portando con me una borsa e un carico di acqua naturale, visto che non ho la macchina, compro il minimo indispensabile o meglio quello che riesco a portare.
Seguo Paolo cercando di non perderlo fino ad arrivare davanti a un esagerato scaffale di vini, seguendolo con la borsa con il tablet e la tracolla come se fosse un portiere di un qualsiasi albergo,
E qui si ferma.
- Passami la tavoletta.
Lo prendo dalla borsa e glielo porgo, lui lo accende e inserisce un programma preinstallato.
- In questo negozio abbiamo trenta referenze, dovete cercare la prima, questa...
Prende una bottiglia dallo scaffale.
- ... poi lo segna sul tablet facendo diventare l'icona verde e poi scrive il prezzo che vede sullo scaffale, semplice no?
- Beh, sì.
Rispondo osservando che il programma è davvero semplice e intuitivo.
- Eccellente, vado a salutare il direttore del negozio e torno, siete ancora senza di me.
Dice, lasciandomi lì come un idiota.
Il problema non è il portabottiglie, ma trovare i vini su quello scaffale troppo grande.
Cammino da una parte all'altra trovandone una seconda e una terza dopo un tempo che mi rende nervoso.
Una quarta e una quinta pensando che, essendo la prima volta, Paolo avrebbe dovuto seguirmi e aiutarmi invece di abbandonarmi come un imbecille.
È chiaro che lo sto facendo arrabbiare e quindi mi deve una spiegazione.
Guardo l'ora sul mio tablet ed è passata una buona ora quando vedo l'ottavo punto di riferimento di trenta, sono esausto e scoraggiato quando lo vedo arrivare.
- Finito?
Mi dice con uno sguardo severo.
- Sono arrivato a otto, non riesco a trovarli da solo, non so nulla di vino, non so la differenza tra un grillo e un barbera?
Non mi risponde, mi strappa la tavoletta dalle mani e comincia a camminare avanti e indietro davanti allo scaffale e io continuo a guardarlo infastidita, arrabbiata, dobbiamo assolutamente parlare con lui e io, dobbiamo chiarire cosa c'è che non va in me.
Dopo venti minuti di silenzio, si volta a guardarmi e mi porge la tavoletta.
- Finito, non ci è voluto molto. Andiamo, abbiamo perso troppo tempo qui.
- Se non te ne fossi andato avremmo guadagnato mezz'ora, io e te dobbiamo parlare.
- Hai ragione, prendiamo un caffè e risolviamo la situazione.
Lui risponde infastidito e si avvia verso l'uscita.
Restituiamo i pass e al primo bar della galleria sposta bruscamente la sedia, facendomi capire che vuole che mi sieda proprio lì.
Sono d'accordo, voglio capire, voglio sapere perché mi odia e una volta ordinati due caffè si siede davanti a me.
- Posso sapere cosa c'è che non va?
- Tu!
- ¿I?
- Ma ti sei guardato, sembri un provinciale, trasandato, senza arte né parte, sei vestito come uno studente o un cassiere di supermercato, potresti fare quello invece di un agente di vendita!
- Cosa c'è che non va nei miei vestiti?
- Tutto!
- Tutto?
Chiedo, approfittando della sua offesa.
- Domani, se non indossi gonna, collant e tacchi, non ti farò nemmeno salire in macchina.
- Chi vuole che mi vesta così? Cosentino?
- Non lo voglio, non faccio da babysitter a qualcuno che non sa nemmeno come vestirsi, da quello che vedo avresti potuto presentarti anche con una gomma da masticare in bocca.
Sto per rispondergli ma una ragazza sorridente ci passa il caffè lasciandoci nel bel mezzo della conversazione e io sono troppo arrabbiata per tutti gli insulti gratuiti che mi ha rivolto e aspetto che se ne vada per rispondergli a mia volta.
- Mi vesto come mi pare, non sono provinciale, non ho bisogno di una gonna, di collant o di tacchi alti per sentirmi bene con me stessa. Non ho bisogno di una cravatta per sentirmi importante.
Non risponde, sorseggia il caffè senza mescolarlo con lo zucchero e due secondi dopo si alza.
- Vado in bagno.
Grugnisco mentre vado in bagno e mi costringo a bere il caffè che mi ha offerto, visto che ho perso l'appetito.
Aspetto cinque minuti, dieci minuti e poi mi chiedo: dov'è? Spero che non sia caduto nella tazza.
Mi alzo e vado in bagno con il sacchettino contenente la pillola, per sicurezza, e con mio grande stupore mi accorgo che non c'è più, e rimango sbalordita.
Vedo l'uscita di emergenza e una sensazione di sospetto mi assale, la spingo e mi ritrovo nel parcheggio, cerco l'auto con gli occhi e mi rendo conto all'istante che non c'è, è sparita, lasciandomi lì a due ore da casa....
Che stronzo che sono, abbandonato nell'ipermercato. Mi rendo conto di essere sotto shock, con il cuore che mi cade in ginocchio.
Non ho il suo numero, ma quello di Cosentino sì e pagherà caro questo scherzo.
Prendo il telefono e chiamo il proprietario e dopo tre squilli risponde, grazie a Dio, ora pagherà.
- Buongiorno, signor Cosentino, sono Elena, la informo che il signorino Paolo mi ha felicemente lasciato all'ipermercato, mi ha lasciato qui, non so neanche dove sono.
- Come? Perché?
- Perché abbiamo avuto una discussione e lui si è offeso.
Non voglio dirgli che la discussione era maschilista, che voleva che mi vestissi come piaceva a lui solo per vedere le mie gambe.
Dall'altro capo del telefono sento uno sbuffo.
- Io lo chiamo, tu rimani lì.
Riattacca e cinque minuti dopo mi richiama.
- Paolo mi ha detto che tra un'ora tornerà a prenderti, il tempo di andare a trovarti e poi tornare, tu aspettalo lì.
- Grazie.