

Capitolo 1.1
Arrivo al grande parcheggio già colmo di automobili. Lascio la moto al solito posto, quello riservato ai dipendenti del locale. Prima di scendere sfilo il casco e mi guardo allo specchietto retrovisore. Devo sistemare un po' i capelli, pensavo peggio!
Con lo zaino in spalla, casco in mano e chiavi in tasca raggiungo il grattacielo al centro della piazza, circondato da panchine e fontane.
Dentro l’edificio ci sono gli uscieri in uniforme che sorvegliano chi entra e chi esce. Solo a pensarci mi viene il mal di testa a guardare questo “traffico umano”. Pareti di marmo bianco ravvivate da opere d’arte che esplodono di colori, una più bella dell’altra. Gruppi di ascensori e scale mobili conducono a piani diversi, per accedervi occorre un lasciapassare che io ho appena ritirato dopo i dovuti controlli e il passaggio dello zaino al metal detector. Mi avvicino alla pulsantiera elettronica e digito il numero venticinque. I primi dieci piani sono dedicati agli uffici e alle banche, ma dopo l’atmosfera cambia, ci sono negozi, centri estetici, parrucchieri e locali.
Io suono e canto in uno di questi, il rinomato Twenty-Five Lounge. Le porte dell’ascensore si aprono e poso gli occhi sull’insegna luminosa, intravedo anche i clienti dietro le grandi vetrate del locale. Si respira aria di festa e divertimento, prima di entrare però devo cambiarmi. Sullo stesso piano c’è il magazzino scorte, dove mi sono ricavata un posticino tutto per me. Mi sollevo in punta di piedi e prendo la chiave posta sullo stipite. Raggiungo il mio camerino arredato con oggetti recuperati qua e là. Il parrucchiere mi ha regalato uno specchio grande. Il negozio di abbigliamento mi ha donato un appendiabiti sul quale trovo l’abito per questa sera con un biglietto sul quale c’è scritto:
Come disse Yves Saint Laurent: “L'abito perfetto per una donna sono le braccia dell'uomo che ama”. Io non ho questa possibilità. Stasera sarai una perla.
Il mittente è il solito François, uno stilista francese di cinquantacinque anni molto premuroso, gentile e con un bel modo di fare. Alto e affascinante e con un recente divorzio alle spalle, il terzo forse. Proprietario del negozio di alta moda. Vuole che indossi la sua collezione per una pubblicità, ma sappiamo entrambi che non ne ha bisogno. L’abito è comunque stupendo; color perla, lungo, aderente e con un’ampia scollatura; lo indosso velocemente perché sono in ritardo; sistemo il trucco, i capelli ed esco da qui.
Mi avvicino all’ingresso del Twenty-Five e non appena le porte si aprono c’è ad accogliermi come sempre il signor Rodríguez. Il proprietario del locale. Un uomo cubano di cinquant'anni, con uno sguardo cupo e misterioso e dalla voce pacata. Mi saluta con un baciamano, nel suo completo bianco, cravatta e scarpe lucide, in contrasto con la sua camicia azzurra e con il colletto sbottonato. La sua personalità trasuda forza e sicurezza.
«Buonasera e ben arrivata signorina Clarke, sempre affascinante e bella!»
«Signor Rodríguez, buonasera, sempre galante!»
Mi prende sottobraccio e attraversiamo tutto il locale, mi passa accanto Antonio, il quale tiene in equilibrio con una mano un vassoio pieno di flûte, con un gesto veloce gli passo la chiave del magazzino. Mi saluta strizzando l’occhio per poi sparire tra gli invitati.
Antonio Mantovani è un italo americano di trentasei anni; fa il cameriere in questo locale, è lui l’artefice di tutto, dal mio arrivo a New York al mio lavoro qui, fino a oggi. Alto, atletico, rasato e con una leggera e curata barba; due occhi neri e un cuore d’oro. Non so molto su di lui, ma a me basta averlo accanto così com’è.
Raggiungo il mio strumento preferito al lato della sala. Un classico pianoforte a coda, nero, lucido, elegante, fragile e allo stesso tempo imponente. Mi accomodo su questa morbida panca mentre vedo allontanarsi il signor Rodríguez. Sollevo il coperchio e resto ogni volta esterrefatta dallo strumento stesso. È così da quando avevo quattro anni! Le mie dita sanno esattamente quali tasti toccare. Riesco a tirare fuori ogni singola sfumatura di nota, sfruttando gli ottantotto tasti a mia disposizione. Sistemo gli spartiti e sono pronta per rendere questa serata ancora più magica.
Il primo brano “Undo – Sanna Nielsen”, mentre canto vedo il locale riempirsi. Questi tipi di locali sono strategici, posti su altissimi edifici per le splendide viste e tutti hanno delle regole rigide tra cui l'abbigliamento sportivo e l'alcol ai minorenni e su questo il Twenty-Five è molto attento.
Nel frattempo, passo al secondo brano “Calm after the storm - The Common Linnets”. L'evento di stasera è molto importante, si tratta di una cena di beneficenza, organizzata proprio dal signor Rodríguez. Sempre pronto a sposare una giusta causa. Una raccolta fondi per un ospedale pediatrico in Kenya. Ci sarà anche l’intervento di un una persona autorevole sull’argomento. Mi sono sentita in dovere di fare anch’io una piccola donazione.
Proseguo cantando “Rise up – Andra Day” e subito due occhi neri si posano su di me, sono quelli di Antonio, questa canzone gli piace tanto. Mi sorride, e quando lo fa è ancora più affascinante nella sua divisa nera. Meglio spostare lo sguardo altrove, come ad esempio fuori dalla grande vetrata. Ammiro le luci dei grattacieli che pian piano si illuminano su questa ampia e lussuosa terrazza con tanto di palme. Sospiro e mi abbandono a questo clima frizzante della grande mela sulle note del prossimo brano “Euphoria - Loreen”.
Ho bisogno di bere qualcosa. Per fortuna Antonio mi legge nella mente. “L’uomo giusto al posto giusto!” Lo vedo avanzare verso di me con in mano un vassoio pieno di flûte e una bottiglietta d’acqua nell’altra. Ovviamente mi lascia l’acqua. Rivolgo uno sguardo di disapprovazione, ma non ci ricavo nulla. Comunque, l’afferro ugualmente e ne bevo un lungo sorso e dopo averla quasi finita mi ricompongo per suonare il prossimo brano “Azucar Morena – Carla Morrison.”
Seguo con lo sguardo Antonio, mentre si fa spazio tra gli invitati, poi mi accorgo di un paio di occhi verdi che mi fissano. Sono penetranti, magnetici, intensi. Sostengo lo sguardo e mi accorgo di averlo già visto. Abbasso per un momento lo sguardo, ma quando lo sollevo lui non c’è più. Forse l’ho solo immaginato.
“Dermière Danse - Indila” è il brano successivo. Do un’occhiata generale al locale e inizio a sentire il profumo di cibo, se ci penso ho ancora fame e mi viene in mente Gennaro, il pizzaiolo napoletano doc, trasferito da cinque anni negli Stati Uniti. Le sue pizze sono la fine del mondo. Una volta ha creato la pizza Sophie. Pollo, curry e papaya. Molto particolare e dal gusto esotico.
Meglio coprire il brontolio del mio stomaco cantando “Empires – Ruelle”. Suonare, come cantare, mi viene spontaneo. Ricordo che da piccola, quando mi portavano ai concerti, restavo incantata. Questa passione è cresciuta dentro di me giorno dopo giorno. Fino a quando non ho preso lezioni private di pianoforte. Poi nel corso degli anni ho sentito l’esigenza di prendere anche lezioni di canto, con la speranza di potermi esibire un giorno, un desiderio rimasto nel cassetto fino al mio arrivo qui. Comincio a credere che a New York, tutto è possibile!
“Faster – Within Temptation”, adoro questa canzone in stile Gothic metal, le parole si fanno strada nella mia testa e il suo ritmo è travolgente. In questo preciso istante avrei davvero bisogno di un buon cocktail, mi passa di nuovo accanto Antonio, il mio sguardo implorante non lo smuove di un millimetro. Non capisco perché non posso bere anch’io, insomma, lavoro in un locale dove potrei avere i migliori cocktail gratis e invece vado avanti ad acqua. Sospiro e passo al brano successivo e noto alcuni invitati spostarsi al piano di sotto. Il signor Rodríguez viene verso di me con un sorriso malizioso.
«Signorina Clarke, impeccabile come sempre, bravissima!»
«Grazie, ma non ho finito!»
«Venga, l’accompagno dagli ospiti e questa volta non accetto un no come risposta.»
Effettivamente ho declinato ogni suo invito e poi vorrei placare il mio stomaco, sono così affamata che mangerei qualsiasi cosa. Sistemo gli spartiti, ma il signor Rodríguez non vuole attendere, mi prende sottobraccio e raggiungiamo la sala e, tutto sommato ho davvero una gran fame.
Dalla scalinata intravedo diversi tavoli, candele accese e composizioni floreali ovunque. Intanto che ci avviciniamo il profumo intenso dei fiori si mescola con l’aroma molto invitante di piatti unici. Resto sorpresa dalla cura dei dettagli: le tovaglie candide e ben stirate, bicchieri di cristallo e posate luccicanti, tovaglioli rigorosamente di stoffa, caraffe d’acqua e bottiglie dei migliori vini e delle bellissime decorazioni sui centritavola, dei vasi trasparenti decorati con orchidee.
Tutti i posti sono assegnati, incuriosita cerco il mio nome, chissà con chi sono al tavolo. Con un gesto galante, il signor Rodríguez mi accompagna al mio posto e scopro con stupore che sono allo stesso tavolo con lui e altre persone. Mi bacia la mano e mi presenta agli invitati di questo tavolo tondo da sei posti.
«Signori, è con vero piacere che vi presento Sophie Clarke, voce e anima del Twenty-Five Louge, una bella scoperta!»
Applaudono mentre il mio sguardo scorre su tutti loro per poi incrociare quegli occhi, gli stessi di prima. Sono proprio qui, difronte a me, allora non era una mia fantasia.
«Allora signorina Clarke, le presento Tom Wilson, Jennifer Patel, Kelly Rayan e Sean Walker!»
Tom Wilson, un uomo disgustoso e ripugnante. Non ho altri aggettivi per descriverlo meglio. La sua mano, fredda e umida. Ho avuto la sensazione di stringere un pesce morto. Alto e magro, capelli corti e brizzolati e un sottile pizzetto. Non mi ispira per niente fiducia.
Poi è la volta di Jennifer Patel, una bionda artificiale, da premettere, non ho nulla contro le bionde ma a lei, questo colore, sta malissimo. Il suo vestito poi, molto corto, aderente e trasparente. Accidenti, credo che non porti nemmeno le mutandine. Povera me, ma la ciliegina sulla torta e il continuo masticare la gomma anche quando si è presentata. Mi pento di aver detto sì al signor Rodríguez! Le stringo la mano e mi accorgo delle sue unghie lunghe e zebrate. Oh, cielo! Credo di aver visto abbastanza!
«Sono Kelly Rayan e lui è proprietà privata!»
Si presenta così la rossa prosperosa indicando il ragazzo al suo fianco mentre mi porge solo la punta delle dite, evitando il contatto con me. Con un gesto altezzoso e deciso si tocca la sua fluente chioma. I suoi occhi verdi e stretti mi scrutano dall’alto verso il basso e stringe a sé il braccio del suo fidanzato per non farci presentare; tuttavia, lui riesce ad allontanarla e a stringere la sua mano nella mia. La sua stretta è forte e decisa.
«Sean Walker!»
«Sophie Clarke!»
Sollevo lo sguardo lentamente per poi perdermi nei suoi occhi, da vicino sono bellissimi. Il suo sguardo è così intenso che sembra vada oltre il mio corpo e una bella sensazione mi invade. Arrivano i camerieri e senza distogliere lo sguardo prendiamo ognuno il proprio posto che, guarda caso, è di fronte al mio. Servono i primi piatti e quando arriva al mio cospetto, non posso fare a meno di osservarlo nei minimi dettagli. Dei ravioli neri? Prendo il menù sul tavolo e leggo: “Ravioli al nero di seppia con ripieno ai tre pesci”. Un profumo intenso e deciso. Il signor Rodríguez, mentre mi versa del vino, mi dice che lo chef è il famosissimo Mesahiro Kawa e mi rendo conto di non aver mai mangiato giapponese. Infilo in bocca un paio di ravioli e li assaporo. Accidenti, sono buonissimi! Lo chef giapponese è eccezionale. Perdonami Gennaro!

