Prologo
ANDREW
Svolte. La vita è fatta di svolte.
Momenti in cui ti ritrovi a un bivio, a dover scegliere tra la cosa giusta e quella sbagliata, senza avere la più pallida idea di dove stai andando e perché.
Sorseggio il mio whisky, assaporandone il gusto deciso sul palato, mentre mi muovo come un felino in gabbia nel mio loft, all’ultimo piano di un grattacielo sulla Broadway. Scosto la pesante tenda alla finestra e il mio sguardo si perde lontano, tra le mille luci di New York.
Amo la mia città.
Apprezzo la sua vitalità e le sue mille sfaccettature. New York è come un battito incessante, una sinfonia di voci, clacson e sirene che si mescolano coi passi frettolosi di milioni di persone. È una giungla di cemento, sì, ma è l’unico posto dove riesco a respirare davvero. C’è sempre qualcosa da fare qui, qualcuno da incontrare, un affare da concludere. È viva, elettrica, l’unico luogo in questa terra che mi fa sentire ancora parte di qualcosa.
Non potrei vivere altrove, di questo sono più che certo. Eppure, ci sono momenti in cui mi sento malinconico e ho l’impressione che nella mia vita manchi qualcosa. Momenti in cui, immerso nel silenzio della stanza, mentre la notte avvolge la città, mi ritrovo solo.
Momenti come questo.
Il successo, i soldi, la città che non dorme mai… niente riesce a riscuotermi da questo torpore. Mi chiedo cosa sto cercando davvero. Forse è solo questa maledetta malinconia che mi perseguita, come se fossi alla continua ricerca del pezzo mancante di un puzzle che non riesco a completare.
All’improvviso il mio sguardo viene catturato da qualcosa, un impercettibile movimento alla finestra di fronte: una ragazza emerge dall’ombra e appoggia la fronte al vetro; sembra che stia piangendo.
Di solito non spio i miei vicini, ma l’immagine di quella giovane mi resta appiccicata addosso; non riesco a distogliere lo sguardo.
È come se mi chiamasse.
Ha un volto angelico e lunghi capelli biondi in cui vorrei tanto affondare le dita. Devo essere diventato pazzo. Non ho mai pensieri di questo tipo, specie se la persona in questione è una perfetta sconosciuta.
Eppure, qualcosa in lei mi attrae come una calamita.
Finalmente si accorge di me, solleva lo sguardo e incontra il mio. Da questa distanza non riesco a vedere bene, ma giurerei che è arrossita. Un lento sorriso mi distende le labbra. Sollevo il bicchiere come se intendessi fare un brindisi in suo onore e lei si morde piano il labbro; sembra combattuta tra il desiderio di fuggire via e quello di restare.
Resta, ti prego. Non andare.
I miei pensieri sembrano raggiungerla perché rimane lì ferma, come se fosse ancorata al pavimento. Si sistema una ciocca di capelli dietro l’orecchio mentre continua a torturarsi il labbro coi denti. All’improvviso vorrei poter toccare quella bocca, passare un dito su quelle labbra rosee, all’apparenza così innocenti.
Così pure.
L’uccello mi si rizza nei calzoni. È quasi imbarazzante.
Da quanto tempo non ho un’erezione simile, solo per aver gettato uno sguardo a una sconosciuta? Eppure, quella ragazza non ha nulla di provocante. Veste in modo anonimo, con un paio di jeans e una maglietta di cotone abbastanza stretta da delineare le sue curve, ma non sufficientemente da farla apparire sfacciata. Cerco di immaginare la forma dei suoi seni, né troppo piccoli né troppo grandi, alti e rotondi, con capezzoli scuri che risaltano sulla pelle diafana.
Il mio uccello comincia a pulsare; sono costretto a sbottonarmi i calzoni per liberare la mia erezione, ormai dolorosa.
La ragazza ha un sussulto. Torna a mordersi il labbro, sul viso un’espressione quasi spaventata.
Mi ha visto.
Mi sta guardando mentre mi prendo il cazzo in mano, e di nuovo sembra sul punto di scappare via.
Ma non lo fa.
Continua a osservare la mia mano che si muove sull’asta, sempre più veloce. Ha gli occhi sgranati, ma non sembra disgustata. No, è curiosa. Vuole guardarmi venire, conscia dell’effetto che mi fa.
Il solo pensiero mi toglie il respiro.
Aumento il ritmo e alla fine esplodo nella mia mano, lo sperma schizza dappertutto. Appoggio la fronte alla finestra e chiudo gli occhi, ansante. Cerco di incamerare aria, è come se i miei polmoni fossero stati svuotati da tutto l’ossigeno.
Quando finalmente riapro gli occhi, lei non c’è più.